Un avvocato prestato allo spettacolo
di Mimmo Sica
Gio 28 Settembre 2017 22:31
Napoletano doc, Lucio Mirra (nella foto) è laureato in giurisprudenza e da oltre cinquant’anni si occupa di spettacolo, in particolare di teatro. Dapprima con la “Compagnia Teatro Popolare”, e poi con la “Diana Oris” ha prodotto un centinaio di allestimenti, considerati tra i migliori della prosa italiana. È stato presidente nazionale Anet (Associazione degli esercenti teatrali) e ha ottenuto numerosi riconoscimenti come i Biglietti d’oro Agis, destinati a premiare, tra l’altro, gli impresari che si sono maggiormente distinti nel corso della stagione artistica. Domani compie ottant’anni. «Sono nato ai Carrozzieri nella zona della Posta Centrale. Quando l’Italia entrò in guerra, la mia famiglia si trasferì in un palazzo a Mergellina, a fianco alla Funicolare, perché alle spalle c’erano delle caverne che offrivano un ottimo rifugio antiaereo. A dieci anni andammo al Vomero che, come ho scritto nel mio libro, “Che spettacolo”, mi ha fatto da culla. Ha offerto alla mia adolescenza luoghi, scorci, colori, profumi, emozioni, sentimenti, ha determinato la mia formazione e ha dettato il mio futuro. Fittammo una casa a via Kerbaker. Di fronte a me abitava Fausto Cigliano. Nella vicina Santarella, il cui toponimo è Luigia Sanfelice, c’erano Aldo e Carlo Giuffrè e Alighiero Noschese. Diventammo amici».
Terminato il liceo, si iscrisse alla facoltà di Chimica che poi abbandonò. Perché?
«Erano materie che non mi appassionavano e mi iscrissi a quel corso di laurea per accontentare mia madre. Dopo un anno, però, cambiai e scelsi giurisprudenza e mi laureai regolarmente. Dopo soli cinque mesi fui assunto all’ufficio legale della Tirrenia, una delle quattro grandi compagnie di navigazione italiane insieme al Lloyd Triestino, Adriatica e Italia. Allora non c’erano i grandi problemi che affliggono i giovani di oggi per trovare un posto di lavoro».
È il tempo in cui incontrò la compianta Mariolina De Gaudio, la compagna della sua vita…
«Come ho scritto, “mi aspettava dietro l’angolo di via Cimarosa, poco dopo la Floridiana”. Frequentava l’istituto Maria Ausiliatrice. Ci conoscemmo grazie a un mio amico che era cugino di una sua compagna di classe. Nel 1962 ci sposammo».
Quel matrimonio le aprì le porte del “Diana” e orientò per sempre il suo destino…
«Il “salotto dei vomeresi” era stata una felice intuizione, negli anni Trenta, del padre di Mariolina, Giovanni De Gaudio, che morì quando lei, orfana di madre, aveva solo otto anni. Gli subentrò il fratello Vincenzo. Quel palcoscenico ospitò attori di fama come Ermete Zacconi, Emma Gramatica, Ernesto Calindri, Nino Besozzi, Paola Borboni, Viviani, Totò, Macario, Wanda Osiris, Taranto, Carlo Dapporto, Armando Gill, Pasquariello e tanti altri».
Fu anche teatro di un “incidente” storico… «Ci fu il violento litigio tra Eduardo e Peppino De Filippo, che in piedi su una sedia sbattette le mani al fratello gridando con sarcasmo “Duce! Duce! Duce!”. Fu il momento in cui la Compagnia del Teatro Umoristico I De Filippo si sciolse».
Mentre eravate in viaggio di nozze vi giunse la notizia che l’ultimo fratello De Gaudio era morto. Che sorte ebbe il teatro?
«Le redini furono prese dalla vedova e dal direttore di sala Giuseppe Barberio. Non passò neanche un anno che la zia di Mariolina mi chiamò e mi chiese di aiutarla perché da sola non ce la faceva ad andare avanti. Esitai un poco, poi cedetti e accettai di occuparmi solo della contabilità perché il lavoro alla Tirrenia mi occupava a tempo pieno fino alle sette di sera».
E Mariolina?
«Stava a casa perché era incinta di Guglielmo. L’anno dopo sarebbe nato Gianpiero e nel 1969 Claudia: la nuova generazione dei De Gaudio-Mirra che, come ho scritto, “continua a portare avanti un’impresa e un sogno iniziati oltre ottant’anni fa”. Per la precisione nel 2018 saranno 85».
All’epoca il “Diana” era prevalentemente cinema. Quando iniziò a essere anche teatro?
«Già dal 1964 prendemmo come compagnia teatrale Alighiero Noschese in “Scanzonatissimo” con Antonella Steni, Elio Pandolfi e un giovanissimo Pippo Baudo, L’autore era Dino Verde, anche lui napoletano doc».
Durante lo spettacolo ci fu un siparietto molto singolare. Ce lo racconta?
«Nello show era prevista l’imitazione di Giulio Andreotti. Noschese, come da copione, sedeva in platea molto defilato in attesa di essere chiamato da Antonella Steni sul palcoscenico. Una signora che gli sedeva accanto, tanto era perfetto il suo travestimento, gli disse con voce implorante: “Onorevole, scusate, vi devo chiedere una cosa, tengo nu figlio disoccupato, Me lo potete sistemare?
”. Dopo questo spettacolo vennero Nino Taranto, Macario e la giovane Miranda Martino con “Masaniello”, Rita Pavone, anche lei con Macario, e altri che di volta in volta ci chiedevano la sala».
C’è un episodio molto tenero che riguarda proprio Alighiero Noschese… «Era stato al “Diana” da bambino, alunno di Zietta Liù che faceva scuola qui da noi. C’era anche il piccolo Peppe Barra accompagnato dalla madre, la grande Concetta».
Quando si dimise dalla Tirrenia?
«Nel 1969. È l’anno in cui rilevammo anche la gestione del cinema “Plaza”. L’impegno era troppo gravoso anche in considerazione che prima di allora di cinema e teatro non ne capivo assolutamente niente».
Poi la “convivenza” cinema-teatro finì... «Alla fine degli anni Settanta. Nel 1978 venne a trovarmi Mico Galdieri, il grande impresario napoletano che ha scritto pagine importanti della storia del nostro teatro. Mi portò Ugo D’Alessio, che era andato via dal “Sannazaro”, e altri attori che volevano fare una commedia. Eduardo De Filippo aveva comprato i diritti sulle commedie di Scarpetta e non voleva darle ad altri. D’Alessio, che era stato nella sua Compagnia, gli telefonò e gli disse: “Direttò sto senza lavoro, perché non mi date qualche commedia di Scarpetta?”. Eduardo gli rispose di si e gliene diede tre: “Tre cazune fortunate”, “Li nepute de lu sinneco” e “’O signore d’ ‘o cinematografo”. Fu un successo e anche la svolta che chiuse un ciclo e ne aprì un altro».
Fu anche l’occasione per creare la vostra prima società di produzione… «Lo decidemmo Mariolina e io e la chiamammo la società Compagnia Teatro Popolare ».
E il cinema?
«Lo dirottammo su altre sale. Ne avevamo diverse, al Vomero l’“Abadir”, e anche in costiera sorrentina e a Capri. Oggi abbiamo conservato il “Plaza” e l’“Arcobaleno”».
Siamo alla vigilia della nascita del lungo e proficuo rapporto con i fratelli Giuffré. Quando approdarono al Diana?
«Nel 1979 e mi proposero “Quando l’amore era murtal peccato» di Pietro Trinchera. L’anno successivo tornarono con “Questa sera Petito”».
Con loro fondò la società “Oris”, Oganizzazione Italiana Spettacoli… «L’anno dopo e ne faceva parte anche il loro amministratore Lello Vianello. Al principio non sostituì la “Compagnia Teatro Popolare” che, come ditta individuale, continuò a produrre gli spettacoli non condivisi con Vianello e i Giuffré, a cominciare da quelli di Luigi De Filippo che ho prodotto per dieci anni. Dopo circa quattro anni divenni l’unico gestore e la società, con l’aggiunta del nome “Diana”, ancora oggi è quella con la quale il teatro produce i suoi spettacoli tra cui gli amici Gino Rivieccio, Lina Sastri, Serena Autieri e Vincenzo Salemme che, ormai dopo 20 anni di produzioni insieme, lo considero come uno di famiglia».
Per quanti anni ha prodotto i Giuffré?
«Per quindici anni Aldo e Carlo insieme. Fino a due anni fa ho prodotto solo Carlo».
È memorabile il giorno in cui ebbe la notizia che Luca De Filippo aveva concesso i diritti per fare “Natale in casa Cupiello”. Ce lo ricorda?
«Una delle aspirazioni più grandi di Carlo Giuffré era quella di portare in scena forse la più nota commedia eduardiana. Ricordo con emozione ed entusiasmo il momento in cui la moglie di Carlo, Lilli, ci chiamò per informarci che l’avvocato dei De Filippo le aveva telefonato per darle la buona notizia: Luca aveva deciso di concedere i diritti della commedia. Stavamo portando in scena per l’Italia “Non ti pago” e in quel momento eravamo nel camerino dell’“Eliseo” con il direttore artistico Maurizio Scaparro. Cominciammo a esultare e facemmo comprare una bottiglia di champagne. Tra il 1998/1999, evento straordinario, inserimmo “Natale in casa Cupiello” nel cartellone del “Diana” e per tre anni in giro nei maggiori teatri italiani ».
Poi sono entrati nell’“organigramma” del teatro Guglielmo, Gianpiero, Claudia e Matteo, primogenito di Guglielmo. Con quali compiti?
«Guglielmo cura l’amministrazione del “Diana”, del “Plaza” e delle stagioni musicali “Diciassetteetrenta classica”. Gianpiero si occupa della produzione e coproduzione. Sta nella nostra sede di Roma. Claudia ha la responsabilità dell’ufficio stampa, delle relazioni con i mass media e dei rapporti con le Compagnie. Matteo si occupa della gestione del “Plaza”».
Poi un triste giorno del 2011 Mariolina se ne andò…
«Ci chiamavano, forse ironicamente, “Il signore e la signora del teatro napoletano”. Ce lo dicevano non solo i napoletani ma anche e soprattutto i settentrionali e questo ci inorgogliva molto. La sua perdita è stata la fine di un rapporto anche di intesa e di lavoro. I nostri figli dicono che vivevamo di pane e teatro. Casa nostra era anche un luogo di incontro con attori e registi e Mariolina cucinava per loro. Aroldo Tieri e Giuliana Lojodice, in particolare, si erano molto affezionati a noi. Giuliana, quando due anni fa al San Carlo ha ritirato il premio “Le maschere del teatro italiano”, dal palcoscenico mi ha visto e mi ha voluto salutare ricordando pubblicamente che ero un caro amico. Mi sono commosso».
Qual è stata la sua prima esperienza importante in campo teatrale?
«Curare la programmazione artistica della “Stagione pubblica di prosa” organizzata nel 1973 dall’assessore allo Spettacolo dell’epoca, Roberto Virtuoso, assieme a Franco de Ciuceis. L’evento si svolse al teatro “Mediterraneo” della Mostra d’Oltremare. L’idea vincente fu di coinvolgere nel progetto i migliori teatri stabili d’Italia».
Il ricordo più bello?
«Il “Biglietto d’oro”, ben 11 vinti dal “Diana”, e assegnati ai teatri che avevano venduto di più nei diversi generi e le migliori produzioni, distribuzioni ed esercizi secondo i risultati della Borsa Teatro».
Il più brutto?
«L’incendio devastante che il 4 marzo del 1973 distrusse il teatro. Lo ricostruimmo lavorando ininterrottamente e riaprimmo il 12 settembre dello stesso anno».
Un rimpianto?
«Mariolina e io avevamo un sogno nel cassetto: fare una riduzione teatrale di “Carosello napoletano”, il film del ’54 diretto da Ettore Giannini. Non ci siamo riusciti perché l’impegno era troppo gravoso».
Quanti spettacoli ha prodotto?
«Centoventidue».
Quante compagnie hanno calcato le scene del “Diana”?
«Oltre cinquecento».
Quanti attori ha scritturato?
«Un centinaio».
Quanti sono passati per il suo teatro?
«Oltre mille».
Qualche nome?
«Oltre a quelli già citati, da Tino Buazzelli a Vittorio Gassman, Enrico Maria Salerno, Nino Manfredi, Giorgio Albertazzi, Mariangela Melato, Giorgio Gaber, Leo Gullotta, Michele Placido e poi Pupella Maggio, Antonio Casagrande, Lina Sastri, Mariano Rigillo, Luca De Filippo, Vincenzo Salemme, Gino Rivieccio, Massimo Ranieri, Christian De Sica, Maurizio Casagrande, Carlo Buccirosso, fino al grande Marcello Mastroianni. Tra i registi Giuseppe Patroni Griffi, Luca Ronconi, Maurizio Scaparro».
Chi non è mai venuto?
«Gigi Proietti, nonostante lo volessimo fortemente ».
Che cosa rappresenta per lei lo spettatore e, in particolare, l’abbonato?
«Linfa vitale. Soprattutto l’abbonato. Affermo e ribadisco che non ho mai creduto in un teatro senza abbonati che sono lo zoccolo duro della prosa. Senza di essi molte Compagnie non potrebbero sopravvivere. Con loro il teatro non è mai vuoto».
Il “Diana” ha un primato. Quale?
«È l’unico teatro in Italia a essere gestito dalla stessa famiglia da quasi 85 anni».
Ha passato il testimone ai suoi figli, ma come impegna la giornata?
«Mi sono conservato un piccolo spazio per cui vengo ogni giorno in ufficio: ci tengo a tenere la mente sveglia».