Un imprenditore da... cintura nera
di Mimmo Sica
Gio 28 Settembre 2017 22:35
Napoletano verace, del quartiere San Carlo all’Arena, Vincenzo Rochira (nella foto) è la quarta generazione di imprenditori specializzati nel lavaggio e nolo di biancheria a livello industriale. La capostipite è stata la bisnonna materna, ma fu sua nonna Carmela La Hara che fondò l’“American Laundry”. Laureato in Scienze economiche aziendali, è il responsabile del settore commerciale e addetto alle pubbliche relazioni della Global Service Hotel srl. Giornalista pubblicista, è sposato con Annalisa Buonocore, imprenditrice nel settore del fast food. Hanno due figli, Giovanni di 15 anni e Federica di 9. «Alla morte di donna Lucia Baiano subentr. al vertice dell’azienda sua figlia, mia nonna Carmela La Hara, che divenne leader nel settore. Quind. tocc. a mamma, Dora Buonafede, che entr. nell’azienda di famiglia come socia, del Gruppo omonimo di cui faceva parte anche l’“American Laundry”, insieme ai fratelli Giuseppe, Pasquale, Antonio e alle sorelle Anna e Lucia».
Che cosa sono le lavanderie industriali?
«Strutture che riescono a lavare dai 150 ai 450 quintali di biancheria anche in un solo turno di sette ore di lavoro, ottimizzando i prodotti impiegati, dall’acqua al sapone e altri aditivi chimici, con una notevole riduzione dell’inquinamento. Basti pensare che un edificio di sette piani inquina molto di pi. di una lavanderia da 150 quintali di biancheria».
Perché il nome “American Laundry”?
«Lo volle nonna in segno di riconoscenza verso gli americani. Nell’immediato Dopoguerra portavano a lavare la loro biancheria alla sua lavanderia, spesso la dimenticavano nel “laboratorio” e nonna guadagnava due volte: il costo del lavaggio e il ricavo che otteneva dalla vendita dei capi non ritirati dai clienti. Diceva sempre che nelle sue piccole tintorie era passata la “bella m’briana”, che nella credenza popolare napoletana, . lo spirito benefico della casa».
Quando è entrato a fare parte dell’“American Laundry”?
«Fin da piccolo. Dopo la scuola nonna mi portava in lavanderia. Allora si trovava nel palazzo Fuga, a piazza Carlo III. Era la prima lavanderia industriale del Mezzogiorno e una delle pi. importanti a livello nazionale. Ho fatto tutta la gavetta. Ho iniziato in magazzino con la conta della biancheria e poi sono passato a fare le consegne. Quindi il salto e sono passato al settore commerciale».
Come mai ha scelto questo lavoro?
«. nel mio dna. Una volta diplomato, mentre studiavo all’universit., realizzai con zio Giuseppe, fratello di mamma, un progetto: aprire a Ischia la prima lavanderia. La chiamammo “Pat srl” ( Prodotti alberghieri e turistici). Era il 1990, Avevamo 55 dipendenti ed . rimasta aperta fino al 2003».
Quando “American Laundry” è diventata gruppo?
«Grazie soprattutto alle eccezionali capacit. imprenditoriali di zio Giuseppe. Era riuscito negli anni ’80 a far fare alla famiglia un salto di qualit. veramente importante e anche all’azienda, portandola a livelli molto alti. Nel 2001 c’erano nel gruppo 1.200 dipendenti e 5 lavanderie. Il fatturato era di circa 45 milioni di euro tra pubbblico e privato».
Poi la crisi… «Con il cambio generazionale sono sorte incomprensioni e diversit. di opinioni sul come formulare il piano strategico aziendale e sulla sua conduzione».
Quindi?
«Dopo avere ricoperto tutti i ruoli, anche la carica di amministratore dell’“American Laundry” lasciata nel 2010, dal 2015 collaboro con mia cugina Natascia e con il mio meraviglioso fratello Nicola in una nuova realt., la Global Service Hotel srl».
Quale ruolo riveste?
«Sono il responsabile commerciale e addetto alle pubbliche relazioni».
Di che cosa si occupa la società?
«Sempre di lavaggio e nolo di biancheria. In pi. ci siamo aperti anche alla vendita di biancheria e di articoli a essa complementari».
Di che tipo di biancheria?
«Tutta la tipologia che possono chiedere gli alberghi, i ristoranti, i catering e le compagnie di navigazione».
Nello specifico lei che cosa fa?
«Procaccio il cliente e lo seguo h/24 per 365 giorni l’anno ».
Dove opera la società?
«In Campania e nel Lazio».
Che garanzia offrite in termini di qualità di servizio e di prodotti?
«Oltre alle certificazioni di qualit. “normali”, abbiamo conseguito volontariamente anche quella del “Rina”, Registro Italiano Navale Aeronautico. . obbligatoria per legge per le navi, gli aerei e i mezzi di trasporto di persone e cose. Attesta l’esistenza di elevati standard qualitativi in ogni fase del ciclo di vita del singolo asset e la sicurezza delle persone e delle merci, la salvaguardia della propriet. e la tutela dell’ambiente. Una certificazione cos. severa d. un notevole valore aggiunto alla nostra societ. in tema di qualit.».
Il rapporto qualità-prezzo della vostra offerta vi rende competitivi?
«L’alto standard qualitativo che ci caratterizza non ci consente di essere molto presenti in Campania e a Napoli in particolare. La domanda di ospitalit. negli alberghi nel nostro territorio . caratterizzata da una minore attenzione alla qualit. del servizio a favore di prezzi pi. bassi. Gli albergatori si sono dovuti adeguare per non perdere clienti e quindi non sono pi. in grado di sostenere spese elevate per servizi come i nostri. Anche noti imprenditori napoletani hanno dovuto subire la legge del mercato campano e segnatamente di quello partenopeo. Il discorso . fortunatamente diverso per il Lazio e soprattutto per Roma, dove l’attenzione massima . rivolta alla qualit. del servizio».
Siete in concorrenza con l’“Amercan Laundy”?
«No, perch. da moltissimo tempo opera in un settore diverso, solo ed esclusivamente in quello ospedaliero».
Qual è stato il suo primo cliente?
«Ricodo con grande emozione, era il 1979, la pizzeria “Manine d’oro” a piazza Nazionale. A Ischia nel 1991, il gruppo di alberghi Leonessa, cio. l’“Excelsior”, il “Moresco”, il “Continental Terme” e il “Continental Mare”».
Attualmente quanti ne avete?
«Centocinquanta circa tra alberghi, ristoranti e sono tutti nel Lazio, in modo particolare a Roma, e collaboriamo con compagnie di navigazione di primaria importanza. A Napoli serviamo anche qualche ristorante e aziende che fanno catering offrendo non solo biancheria ma anche tanto altro. Gli ultimi clienti che abbiamo preso sono il gruppo di pasticcerie “Bellavia” e il ristorante “Don Antonio”, di Carlo Siciliano, alle Rampe di Sant’Antonio».
Come fate a “servirli” tutti?
«Io e mio fratello abbiamo trasmesso tutto il nostro sapere e tutta la nostra passione ai collaboratori, che ci ripagono con grande entusiasmo. Abbiamo anche un considerevole magazzino merci e un nuovissimo parco di automezzi, di grande struttura, tutti ecologici per potere circolare nei centri storici e nelle varie Ztl».
Per quanto riguarda le compagnie di navigazione, quanta biancheria occorre a una singola motonave?
«Prendendo in considerazione quelle che rientrano nella prima fascia, per ogni sbarco, che . giornaliero, circa 2.500 lenzuola, 1.500 federe, 1.200 asciugamani e 1.200 teli spugna, oltre a tutto quello che occorre per il ristorante. Il che corrisponde a 35/40 quintali di biancheria ».
Ci ha detto che la società si è aperta anche alla vendita. Ci spieghi?
«Molti clienti preferiscono acquistare la biancheria piuttosto che noleggiarla anche perch. vogliono personalizzarla con il proprio logo. Procuriamo il tessuto che di volta in volta ci viene richiesto, lo trasformiamo e lo vendiamo al cliente a lavorazione ultimata. In particolare trattiamo tessuti e filati che partano da un buon filato 24/24 (battute di trama e ordito) fino a dei buonissimi 40/40 e fino agli eccezionali fiandre di lino».
Qual è il suo periodo lavorativo al quale è maggiormente legato?
«Quello trascorso a palazzo Fuga quando collaboravo con nonna Carmela».
Perché?
«. stata la mia prima scuola. Nonna mi ha insegnato tutti i segreti di come lavare bene la biancheria, quella piana degli alberghi, vale a dire lenzuola, federe, asciugamani, il tovagliato della sala ristoranti, tutto doveva essere fatto in modo impeccabile con un bianco candido e profumato, smacchiato e stirato alla perfezione. Praticamente come usava dire lei “’nu servizje ’a mestiere”, oppure “a regola d’arte”. Mio padre Giovanni, responsabile commerciale, mi ha istruito su come contattare i clienti e illustrare loro i vantaggi del servizio offerto e mi ha inculcato il rispetto per loro e l’importanza di essere sempre professionali».
Poi ha avuto altri due bravi maestri… «Zio Giuseppe, dal quale ho appreso la difficile arte della diplomazia, e Ugo, un tecnico-progettista di alto profilo, che mi ha trasmesso gran parte della sua conoscenza sul migliore modo per utilizzare le macchine che sono alla base del nostro lavoro».
A Palazzo Fuga ha anche “incontrato” le arti marziali, in particolare il judo… «Nel Real Albergo dei Poveri, nell’uso popolare conosciuto anche come il”Serraglio”, c’era un kōdōkan. Mi ci port. mio zio Aldo Nasti, judoka di primissimo livello. Oggi . presidente della Filpjkam Campania. Ho conseguito il grado di cintura nera. I duri insegnamenti dei miei maestri, Marmo, Capezzuto e naturalmente dei miei cugini, i campioni Gino, Claudio e Pina Nasti, mi sono stati molto utili, sia nella vita che nel lavoro. Hanno forgiato ed equilibrato il mio carattere».
Tra i clienti quali ricorda per spessore e professionalità?
«In particolare la famiglia Naldi. Fornivamo tutti i loro alberghi, da Roma a Capri; la famiglia Leonessa di Ischia e le famiglia Cusino e De Vivo di Roma».
E tra i colleghi?
«Sono molto legato ai Ferraguti in Sardegna e ai Napolillo nel Lazio, con cui collaboriamo da due generazioni. Mentre in Campania non faccio nomi per non fare torto a nessuno: li ho visti tutti nascere e crescere».
Progetti futuri?
«Con il ritorno della qualit. del turismo abbiamo deciso di ampliare la nostra presenza su Napoli, su Capri e su Ischia. Abbiamo gi. molte richieste».
Ci sarà la quinta generazione?
«Me lo auguro, anche se . prematuro parlarne perch. mio figlio Giovanni ha appena quindici anni e Federica nove, ma forse i miei nipoti Antonio o Marco potrebbero... ».