Aldo De Chiara, il magistrato musicista
di Mimmo Sica
Mer 23 Mag 2018 15:10
Aldo De Chiara (nella foto) è un magistrato che ha raggiunto l’apice della sua prestigiosa carriera ricoprendo la carica di Avvocato Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Salerno fino a quando, l’anno scorso, ha lasciato il servizio per sopraggiunti limiti di età. È scrittore e apprezzato pianista e compositore di musica. Fa parte del comitato scientifico della Fondazione Castel Capuano e del comitato scientifico di Italia Nostra.
«Sono vomerese di adozione perché la mia famiglia si è trasferita da via Tasso al quartiere collinare quando avevo nove anni. Al Vomero ho ultimato le elementari, quindi le medie e il liceo al Sannazaro».
Perché ha deciso di fare il magistrato?
«Lo desideravo fin da bambino, un po’ perché, grazie a mio padre, sono cresciuto nel culto della legalità, e un po’ perché fui affascinato dalla figura di un magistrato, Filippo Mililotti, padre del mio compagno di classe di prima, seconda e terza elementare, Sergio. Anche lui ha fatto il magistrato e oggi è notaio. La scelta poi è diventata consapevole con il trascorrere degli anni e credo di essere magistrato fin nell’osso».
Ha avuto anche un’esperienza nella polizia...
«Tra gli scritti e gli orali di magistratura, per 14 mesi ho fatto il commissario di pubblica sicurezza, così si chiamava all’epoca. Ne conservo un ricordo molto bello perché ritengo che per un magistrato, soprattutto del ramo penale, avere una conoscenza diretta del mondo degli organi di polizia è importante».
Qual è stata la sua prima sede?
«Rovigo come pretore penale. Il mio obiettivo è stato sempre quello di fare il magistrato nel ramo penale».
Perché?
«Mi è più congeniale il ruolo del magistrato penale perché, a differenza di quello civile, non è condizionato dagli atti di impulso delle parti private. Preferisco l’iniziativa penale che spetta al pubblico ministero esercitare. A Rovigo sono stato due anni, 5 mesi e 15 giorni, poi sono venuto a Santa Maria Capua Vetere a fare il magistrato di sorveglianza».
Cioè?
«È il magistrato che vigila sulla legittimità della custodia a qualsiasi titolo di un individuo imputato o condannato e quindi, in buona sostanza, controlla l’operato dell’amministrazione penitenziaria. Con la riforma del 1975 le sue competenze furono notevolmente ampliate perché vennero introdotti i permessi. In quanto tale facevo parte del Tribunale di sorveglianza cui spetta, nel quadro dell’opera di rieducazione del condannato, l’adozione delle cosiddette misure alternative al carcere. Nella mia circoscrizione avevo anche l’ospedale psichiatrico giudiziario dove erano internati Cutolo e altri esponenti della criminalità organizzata».
Il suo incarico ebbe inizio proprio all’indomani della riforma. Come era la situazione?
«Molto difficile, ma anche stimolate. Era il periodo del terrorismo rosso che aveva tra gli obiettivi principali le carceri. Bisognava dare attuazione a una riforma penitenziaria appena entrata in vigore e quindi da parte mia ci fu un impegno particolare ».
Era il periodo del sequestro del presidente Aldo Moro. Come lo visse?
«Appresi la notizia all’udienza collegiale a Napoli. Igino Cappelli, allora presidente, disse: “Hanno rapito Moro”. Destò in tutti noi molta preoccupazione perché gli esiti del sequestro erano imprevedibili».
Dopo cinque anni rientrò a Napoli e di nuovo nel suo ruolo “preferito”, quello di pretore.
«Fui assegnato a una sezione molto importante, quella urbanistica. Erano agli anni del dopo sisma del 1980 che creò un’emergenza abitativa grandissima. Questo diede impulso all’edificazione abusiva nelle zone occidentali della città e lungo i Camaldoli. La mia azione fu particolarmente impegnata a contrastare questo dilagare. L’assessore Geremicca, raggiunto da una comunicazione giudiziaria, in un giorno solo fece abbattere sei palazzi e ne acquisì otto che, però, dovevano essere ultimati. A questo fine fu creato un consorzio, il Ruan, costituito dalle stesse ditte che avevano iniziato la costruzione di quegli edifici. Conseguentemente si aprì in pretura un processo che fece applicazione per la prima volta del reato di subappalto non autorizzato».
Furono anni definiti da molti per lei eroici...
«Si costruiva dappertutto e si concepì anche la misura estrema, molto efficace, del piantonamento h24 da parte dei vigili urbani, quindi dei carabinieri, della polizia e della guardia di finanza».
Quindi, dopo tredici anni in pretura, ha fatto una esperienza particolare di natura amministrativa. Ce ne parla?
«Nel 1994 fui nominato direttore dell’Ufficio Speciale che è una struttura periferica del ministero della Giustizia che esiste solo a Napoli. Fu creata proprio per gestire il trasferimento degli uffici giudiziari da Castel Capuano al Centro Direzionale. Andai fuori ruolo e svolsi le funzioni di dirigente generale dell’Amministrazione. Avevo 30 collaboratori, parte tecnici che provenivano dal provveditorato, parte amministrativi che provenivano dei vari uffici giudiziari».
Di fatto ha inaugurato il nuovo palazzo di giustizia?
«Fummo i primi a insediarci al Centro Direzionale e poi a mano a mano si trasferirono gli uffici giudiziari. Non fu semplice e sono note le resistenze di avvocati, magistrati e del personale amministrativo. Ma alla fine la spuntai ».
Quanto è stata utile quell’esperienza?
«In 6 anni, periodo massimo consentito dalla legge, fui confermato da ben 7 ministri, da Conso all’ultimo, Fassino. Ho imparato a conoscere i meccanismi dell’azione amministrativa e ho capito che occorre che a questa attività si dedichi personale preparato, motivato e pagato bene. Purtroppo non sempre è così e poi bisogna combattere i condizionamenti politici. Ho centrato l’obiettivo con soddisfazione e pubblico riconoscimento».
Terminato questo incarico, nel 2000 diventò sostituto procuratore generale alla Procura Generale di Napoli e si occupò di dibattimenti di appello contro la criminalità organizzata. Qualcuno in particolare?
«Ci sono stato fino al febbraio 2007 e ho fatto il processo contro il clan Nuvoletta, il clan Giuliano e altri di spessore criminale. Devo dire con risultati, secondo la Procura Generale, lusinghieri. Le nostre richieste, infatti, in genere sono state accolte dalla Corte d’Appello».
C’è stato successivamente un altro periodo particolarmente delicato e difficile nella sua carriera, quello di procuratore aggiunto alla Procura di Napoli...
«Ero titolare della sezione territorio e ambiente. Ho vissuto la stagione della crisi dei rifiuti con i relativi processi in materia e mi avviavo su un percorso “inedito”: l’esecuzione delle sentenze di condanna in cui si era deliberato l’ordine di demolizione dei fabbricati».
Vale a dire?
«Prima della legge del 1985 il giudice non aveva il potere di disporre la demolizione. La competenza era del Comune che lo ha fatto solo a seguito di iniziative giudiziarie che ne avevano evidenziato inerzie. In alternativa ordinavo il piantonamento degli edifici abusivi e, a fronte delle domande di revoca, rispondevo che l’avrei disposta solo dopo la demolizione. Con la legge del 1985, grazie ad alcuni sostituti molto motivati, abbiamo cominciato ad abbattere. A Ischia l’iniziativa fu così dirompente che a ogni demolizione c’era una rivolta di piazza».
A febbraio 2012 c’è stato l’acme della sua carriera. Viene nominato Avvocato Generale a Salerno. Di cosa si occupava?
«L’Avvocato Generale in effetti è il vice Procuratore Generale. Avevo dei compiti specifici molto interessanti come la collaborazione internazionale: estradizione, rogatorie. Poi mi occupavo di un settore molto delicato, verificare i tempi delle indagini preliminari da parte delle varie procure del distretto di Salerno. Avevo la responsabilità dei procedimenti disciplinari a carico della polizia giudiziaria e poi la vigilanza sugli ordini professionali».
È stato anche consulente della Commissione Parlamentare Antimafia...
«Sì, per lo studio del coinvolgimento dei liberi professionisti in fatti di criminalità organizzata. Su questi temi tra qualche mese uscirà un mio libro».
C’è anche un Aldo De Chiara musicista. Quando è nata questa passione?
«La musica mi ha accompagnato fin da bambino. Ho suonato il pianoforte e durante gli anni del liceo ho avuto un gruppo con alcuni amici. Con la laurea poi ho smesso».
Però continua a comporre...
«Ho musicato qualche recital e ho suonato con Fausta Vetere della mitica Nuova Compagnia di Canto Popolare. Con la regia di un collega, Umberto Zampoli, i magistrati della procura di Salerno hanno messo in scena un lavoro su Paolo Borsellino. Ne ho curato gli aspetti musicali con “La ballata per Paolo Borsellino”. Ho composto, poi, un brano solo strumentale, “In ricordo delle vittime innocenti-Inno alla legalità” che è stato eseguito dall’orchestra dei ragazzi della Sanità e dall’orchestra dei Quartieri Spagnoli. Le ultime composizioni sono “Per Daphne” e “’A Maronna t’accumpagna”. La prima è dedicata alla giornalista Daphne Galizia uccisa a Malta. È stata eseguita a Nocera Inferiore nell’ambito della manifestazione nella quale è stata premiata alla memoria. La seconda fa da “cornice” alla campagna per la sicurezza stradale “’A Madonna t’accompagna, ma a guidare sei tu” organizzata dall’Automobile Club Napoli e dalla Diocesi partenopea, rivolta ai giovani che guidano».
Ha scritto anche un libro molto propositivo per Napoli...
«È una raccolta di articoli con i miei interventi scritti negli ultimi 25 anni. Li ho divisi in quattro aree: politica, pubblica amministrazione, giustizia, ambiente e territorio, e sicurezza urbana. Sono articoli nei quali ho elaborato proposte che avevano lo scopo di contribuire a risolvere i problemi ».
Qualcuna è stata presa in considerazione?
«Nessuna. A distanza di 10-12 anni devo dire che a mio avviso la situazione non è assolutamente cambiata».