Guido Trombetti, il professore manager
di Mimmo Sica
Mar 19 Giugno 2018 17:08
Guido Trombetti (nella foto) è professore ordinario al Dipartimento di Fisica “Ettore Pancini” dell’Università Federico II di Napoli. Insegna analisi matematica.
«Sono nato a via Foria nei pressi dell’Orto Botanico. Ci ho vissuto fino a 10 anni e abitavo in una vecchia casa di quattordici stanze. Ho un ricordo molto chiaro di quella zona e di come era a quel tempo. Per esempio ho un ricordo nitido della lava dei Vergini».
Che cosa è?
«Quando pioveva molto, poiché il sistema fognario era insufficiente, i tombini saltavano. Dai Vergini veniva giù un fiume d’acqua marrone che passava per tutta via Foria: si portava dietro ceste, suppellettili, mercanzie e qualsiasi altra cosa che trovava lungo quel percorso “naturale”. I bassi venivano completamente allagati. Poi ci trasferimmo al Vomero alto perché mio padre acquistò una casa in un parco a San Giacomo dei Capri. Era il momento in cui il quartiere collinare esplodeva diventando la residenza della media borghesia».
Nuova scuola e nuovi compagni. Si adattò facilmente?
«Sono stati anni eccezionali. In quel parco si era creata una comunità di ragazzi, me li ricordo uno per uno. Eravamo tutti amici e il nostro luogo di incontro era una ringhiera che separava il nostro parco da quello adiacente. Giocavamo a pallone in un campetto, c’erano ancora molti spazi liberi. Una mattina, con grande tristezza, trovammo nel campetto le ruspe perché quel terreno era stato venduto come area edificabile. Poi venne la stagione della Vespa e si usciva in gruppo. Ci divertivamo molto spendendo poche lire».
E la scuola?
«Ero molto studioso e riuscivo a fare il mio dovere di studente senza privarmi del piacere di coltivare una forte socialità. Nel 1965 persi mio padre e questa disgrazia cambiò radicalmente la mia vita».
Ci racconti...
«Avevo una sorella e un fratello più piccoli e mamma ci ha tirato su facendo un mare di lezioni private, prevalentemente di matematica. Non ci faceva mancare nulla. Io però mi sentivo l’uomo di casa e cercai di accelerare gli studi il più possibile. Dal liceo classico passai allo scientifico. Feci il “salto”, mi diplomai un anno prima e mi iscrissi all’università a 17 anni».
Quale facoltà scelse?
«Avrei voluto fare l’avvocato, ma mia madre disse che non ce lo potevamo permettere perché per riuscire in quella professione occorreva molto tempo. Mi iscrissi a ingegneria. Ma immediatamente non mi piacque l’approccio allo studio troppo tecnologico e dopo tre mesi passai a matematica. La mia scelta è stata dettata da fatti contingenti. Per mia fortuna ero bravo in tutte le materie ».
Quella decisione comunque ha segnato l’inizio della sua brillante carriera universitaria.
«Dopo un mese dalla laurea il professore Carlo Miranda, uno dei grandi maestri napoletani dei tempi di Caccioppoli, mi nominò assistente incaricato. A ventitrè anni divenni assistente di ruolo e poi sono stato nominato professore incaricato. Ho insegnato analisi matematica ai biologi, ai fisici, ai chimici, ai matematici, agli ingegneri ».
Quindi la nomina a professore ordinario...
«Se non avessi incontrato il grande maestro Carlo Miranda non avrei fatto una carriera così veloce. Era un uomo dedito all’insegnamento e al proselitismo scientifico. Era stato preside, accademico dei Lincei. Ha scritto monografie. Tutto il gruppo dei suoi allievi tra i quali c’ero anche io ha fatto una carriera molto rapida. Sotto molti aspetti per me è stato un secondo padre».
La sua carriera si è sviluppata anche all’interno dell’Ateneo federiciano.
«Sono diventato preside della facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali. Lo sono stato per 10 anni. Era la più grande facoltà della Federico II comprendendo matematica, fisica, chimica, scienze naturali, chimica industriale e informatica».
Come è stata quell’esperienza?
«Bellissima perché governare una facoltà di Scienze significa governare un mondo variegato. Si va dal geofisico che lavora sul territorio in campagna, al matematico più astratto, dal fisico sperimentale al biologo molecolare e ognuno di questi ha la sua cultura, la sua mentalità, le sue esigenze e i suoi problemi. Durante la mia presidenza è nato il corso di informatica che a Napoli non c’era».
Nel 2010 è stato eletto rettore. Il professore diventa anche manager. Che cosa ha comportato per lei?
«Da subito avere sulle spalle 8/9mila dipendenti tra personale tecnico e personale docente, circa 100mila studenti, sedi sparse su tutta Napoli e la facoltà di Agraria a Portici».
Ma come si crea questa professionalità?
«Soprattutto grazie alla continuità che caratterizza la storia dell’Università. Anche se nel periodo elettorale c’è contrapposizione, dopo si ritrova una coesione perfetta ».
Qualche esempio?
«Ho fatto costruire l’aulario a Monte Sant’Angelo. Prima di me aveva ampliato quel Campus Tessitore e prima di lui Ciliberto. Poi ho cominciato dal punto di vista dei finanziamenti, delle gare e di quello edilizio il complesso di San Giovanni a Teduccio, tanto celebrato. Pensato già da Tessitore. Poi hanno continuato Marrelli e Manfredi ».
Sotto il suo rettorato sono stati realizzati numerosi progetti tra cui la Sinapsi e l’evento “Come alla corte di Federico II parlando e riparlando di scienza”. Che cosa sono?
«Innanzitutto ho cominciato l’informatizzazione. Gli studenti facevano la fila sotto all’acqua o esposti alla calura. Grazie al contributo di tante persone abbiamo realizzato l’immatricolazione online. Ne cito una sola perché se lo merita: Guido Russo, un fisico informatico di grandissimo valore e generosità. È stata una rivoluzione copernicana. La Sinapsi è il centro di ascolto, consultazione e assistenza psicologica per gli studenti. Non è soltanto un sostegno alla disabilità ma a quel mare di problemi e di difficoltà interiori che hanno i giovani ma che non si vedono. Questi punti d’ascolto sono sparsi su tutto l’ateneo. L’Anvur, l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario, nella relazione che ha fatto non più di 8 mesi fa, ha detto che la cosa più bella che abbiamo alla Federico II è la Sinapsi. L’ho molto sostenuta e l’ha realizzata Paolo Valerio, uno psicologo generoso e molto valente. L’evento “Come alla corte di Federico II parlando e riparlando di scienza” è il mezzo attraverso il quale da quindici anni facciamo divulgazione scientifica. Organizziamo 7/8 incontri all’anno. Per il nostro ateneo sono passati i più grandi scienziati italiani ai quali noi chiediamo di fare una conferenza che sia accessibile al largo pubblico, quindi spoglia del linguaggio tecnico. Tutte le conferenze sono raccolte in volumi. C’è molta gente che vuole partecipare perché è una grande vetrina. Insieme a me Luciano Gaudio è l’anima dell’evento.Abbiamo anche in quegli anni attuato una politica editoriale stampando vari volumi di pregio. Ciò grazie al lavoro di Peppe Zollo».
Poi c’è Federica, un grande fiore all’occhiello dell’Ateneo.
«È la piattaforma on line della Federico II che è conosciuta in tutta Italia e anche nel mondo. È una grandissima biblioteca digitale creata da Mauro Calise».
Nel corso del suo rettorato ha avuto anche un’esperienza politica. Ce ne parli.
«Ho fatto per cinque anni l’assessore con delega all’Università, ricerca scientifica e sistemi statistici e informatici nella giunta del presidente Caldoro. Nessuna interferenza da parte del presidente che è un uomo molto intelligente, un uomo che approfondisce i problemi e che ha un rispetto assoluto degli altri. Dopo aver fatto discorsi di carattere generale per inquadrare i problemi ero libero di fare le mie scelte. Accettai l’incarico perché sostanzialmente continuavo a fare il mio mestiere e a vivere nel mio mondo».
Come si relaziona con i suoi studenti?
«È come avere la sindrome del ritratto di Dorian Gray. Da da cinquant’anni ogni mattina vedo sempre diciottenni. Io invecchio ma loro no. È un’esperienza straordinaria che leggo alla maniera di Dino Buzzati per il quale il tempo scorre lento ma inesorabile. Non ho mai condiviso affermazioni del tipo “i ragazzi di oggi non sono studiosi” oppure “come sono ignoranti”. Non è vero: sono diversi. Si annoiano più facilmente perché sono abituati a un linguaggio e a una comunicazione rapida. Spetta a noi stimolarli e tenerli desti. Mutuo un’affermazione di Francesco Donadio, professore di filosofia, che condivido appieno: “che vi devo dire alla fine della mia carriera al termine di questa mia ultima lezione. Ho cercato di non annoiarvi e di non annoiarmi perché sono sicuro che i noiosi non vedranno Dio”».
Qual è il suo pensiero sulle Università Telematiche?
«Dico che le università statali tradizionali debbono accentuare il rapporto con le università telematiche perché dal dialogo possono nascere vantaggi reciproci. È un errore, come spesso accade, guardarsi in cagnesco o con la puzza sotto il naso. Un rapporto più intenso farebbe crescere la qualità dell’una ma offrirebbe all’altra l’opportunità di accedere a determinati strumenti».
La scelta che fece cinquant’anni fa ha inciso sulla sua passione per il mondo umanistico?
«Assolutamente no, è rimasta invariata ed è continuata sia nella mia attività di giornalista che in quella dilettantistica di scrittore. Ho scritto almeno 600 articoli. Ho cominciato con il “Mattino” fino a quando c’è stato Mario Orfeo, mio grande amico. Ho continuato con il “Corriere del Mezzogiorno” e attualmente ho uno spazio tutte le domeniche su “la Repubblica”. Ho scritto un romanzetto con l’Ancora del Mediterraneo che si chiama “Quando meno te lo aspetti”. Due lavori con la casa editrice Spartaco di Santa Maria Capua Vetere. Il primo è un romanzo di fantasia e si chiama “Magellano e il Magi Z”, nome che non significa nulla. Il secondo è composto da racconti di fantasia intitolati Annibale, Spartaco e Garibaldi, ispirati ai tre personaggi che sono stati a Capua. Quindi una raccolta di racconti con la Rogiosi dal titolo “Sei cose impossibili prima di colazione”. Leggo anche molto, mediamente 50/60 libri all’anno».
Ha una grande passione. Qual è?
«Sono sempre stato uno sportivo. Ho fatto atletica leggera e sono stato campione provinciale con la staffetta 4X100, ma il calcio è la mia passione e sono tifosissimo del Napoli. Da ragazzo ho giocato a livello amatoriale con Valerio Caprara e con Pino Wilson. Scrivo di calcio e ho partecipato come ospite fisso a “Number Two” su Canale 34. L’11 giugno, il magistrato Catello Maresca e io abbiamo tenuto un convegno, alla facoltà di giurisprudenza dell’Università Vanvitelli, sui problemi legati alla Var».