Chi ci segue sa che da queste colonne cerchiamo sempre di affrontare fenomeni scientifici nel modo più completo possibile dando risalto a deduzioni e risultati che derivino da studi e riscontri che abbiano una valenza scientifica, anche se talvolta ci scontriamo col “sentire comune” che troppo spesso è condizionato da una cattiva, o peggio interessata, informazione. È il caso del Global Warming, per il quale abbiamo speso vari approfondimenti e non ne mancheranno di nuovi. Con lo stesso spirito di sempre, in particolare quello che ci accompagna nel caso citato, vogliamo oggi contribuire a dare qualche informazione in più sull’olio di palma (prodotto molto diffuso, più di quanto si pensi, non solo in ambito alimentare), cui è stata attribuita un’aura pessima secondo noi non giustificata. Per chiarire la problematica, abbiamo consultato studi e interviste della dottoressa Debora Rasio, oncologa e ricercatrice nutrizionista presso l’Università la Sapienza di Roma e l’Azienda Ospedaliera Sant’Andrea. La studiosa in merito ai rischi nutrizionali fa chiarezza: «La questione olio di palma è molto complessa e prima di entrare nel merito dell’argomento è bene distinguere due ambiti: l’ambito nutrizionale e l’ambito ambientale. Dal punto di vista nutrizionale, l’olio di palma si è diffuso come alternativa alle margarine e a tutti gli oli idrogenati ricchi di acidi grassi trans che sappiamo essere dannosi per la salute. Essendo ricco di acidi grassi saturi, regge molto bene le temperature, ed è un’ottima alternativa anche agli oli di semi (di mais, girasole, soia ecc) che essendo ricchi in grassi polinsaturi ossidano, ovvero irrancidiscono, molto più facilmente. Esistono dei grassi che fanno bene, come i polinsaturi: mandorle, noci, nocciole sono così salutari anche perché sono molto ricche di polinsaturi. Questi oli però fanno bene solo se consumati crudi, in particolar modo nella loro forma originaria, sotto forma di semi. I polinsaturi non vanno però cotti perché la loro struttura chimica li rende molto sensibili alla temperatura, alla luce e alla presenza di ossigeno. Non possono quindi andare a sostituire l’olio di palma che oggi viene invece molto utilizzato per diversi motivi. Per la sua resistenza all’ossidazione, in grado di garantire una lunga conservabilità; i polinsaturi, al contrario, si ossidano facilmente e quindi richiedono l’aggiunta di conservanti, che di per sé fanno male alla salute. Per la resa molto elevata, circa 5-7 volte maggiore per ettaro di superficie coltivata rispetto ad altri oli vegetali il che comporta un basso costo dell’olio di palma ». La dottoressa Raisio fa chiarezza anche in merito alla scarsa qualità degli alimenti che contengono l’olio sotto accusa: «L’olio di palma non è scadente in sé: scadenti sono gli alimenti che contengono, fra gli altri, anche l’olio di palma. La questione è semplice: un prodotto come le merendine, i biscotti ecc. non diventa salutare se si va a sostituire l’olio di palma. Questi alimenti sono scadenti, dunque forieri di malattie, perché non sono freschi, perché contengono oli raffinati, miglioranti delle farine, lievito chimico, vitamine di sintesi, zuccheri, eccesso di sale, e non ultimo acrilammide, una sostanza cancerogena e neurotossica che si forma durante la cottura delle farine ad alte temperature. Non è l’olio di palma a rendere scadenti questi prodotti ma l’insieme dei loro ingredienti». Problema serio, invece, è quello ambientale che i salutisti dell’ultim’ora ignorano perché non fa chic. La produzione di olio di palma è relegata per circa il 90% tra Indonesia e Malesia che hanno subito per questo motivo disboscamenti e deforestazioni con conseguente scomparsa dell’habitat di molte specie: rinoceronti, elefanti, tigri di Sumatra, oranghi. Ma queste specie non sono nulla al confronto dell’orsacchiotto sul blocco di ghiaccio alla deriva. Ancora una volta la cultura, e la scienza in particolar modo, vengono sottomesse alle ideologie.

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