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Regione tra “inquisitori” e voglia di rifondazione

Opinionista: 

Ai tempi dell’Inquisizione spagnola, un persecutorio integralismo religioso, che, per un nonnulla, spediva al rogo senza pietà, Napoli si distinse nel contrastarla, costringendo i Viceré, di tutt’altro avviso, a fare la stessa cosa. Un merito storico di cui menar vanto, e oggi più che mai da ricordare, a “scorno” di tanti inquisitori, locali e nazionali, che stanno ammorbando il voto regionale con penose strumentalizzazioni. È da anni che si discute di Regioni, della necessità di una loro salutare “rifondazione”, senza la quale non può esistere un disegno di futuro; ma, poi? Poi, nel momento in cui bisogna passare a un confronto costruttivo, si dà spago a una disputa sulla“impresentabilità”, peggiore del male che si vorrebbe estirpare. Proviamo a ragionare. C’è una legge sulla “incandidabilità”, la Severino - ancora “sub judice”- che però ne incrocia un’altra, “consigliera” di legittime vie d’uscita per non essere “depennati”. Stando così le cose: è forse un reato “adirle” da chi si sente ingiustamente penalizzato? Quanto poi alla “impresentabilità” ad ampio spettro - morale, politica per discutibili comportamenti di trasformismo, cambio di casacca, condotta non irreprensibile - quale giudice, che non sia il popolo sovrano, è oggi legittimato a poterla stabilire, a “declamarla” come un precetto? Di qui non si sfugge. Ci rendiamo piuttosto conto del rischio che si corre trasformando una permanente opinabilità in “caccia alle streghe”? In questo caso potrebbe essere “impresentabile” anche un Saviano, il nuovo predicatore degli “Amici della De Filippi”, retribuito legittimamente da Fininvest con bonifici, però, riconducibili al “vade retro” Satana-Berlusconi. Stessa sorte per il fondatore dell’Ulivo Prodi, secondo il vangelo peripatetico di Matteo Renzi, una volta “culo e camicia” con il dittatore Gheddafi. È tempo che prevalga la ragione. L’unico modo per farlo è concentrandosi sulle problematiche serie e numerose della nostra Regione. Dopo una spoliazione ultraventennale di centri decisionali trasferiti al Nord, piove sul bagnato a Napoli e dintorni. Ai fallimenti vecchi e nuovi - Centro Storico, Porto etc… - ora si aggiunge il temuto disimpegno della Finmeccanica: 10 stabilimenti e 6500 addetti. L’ennesima mazzata in un territorio già tramortito da una serie di emergenze. Svolta, altrettanto necessaria, per l’Irpinia e le aree interne, dove il mito della industrializzazione “pre e post” terremoto declina e si vira verso le cosiddette aree produttive ecologicamente attrezzate. Come dire: un ritorno alle ricette di mezzo secolo fa di Manlio Rossi Doria su una mirata riqualificazione agricola, propedeutica al discorso dell’industria. Infrastrutturazione, invece, a tutto campo per Salerno, preziosa per un porto già competitivo e per un Cilento degli approdi turistici e della viabilità da motocross. Bonifiche e viabilità in cima a tutto a Caserta e nel Sannio, quest’ultimo in attesa di parole chiare sul “crono programma” dell’Alta capacità Napoli- Bari. Ce n’è davvero per fare della entrante consiliatura regionale il motore di un rilancio “policentrico”, metropolitano e globale. Ma lo sanno i nostri rappresentanti, “presentabili e impresentabili”?