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Se Berlusconi perde ci sarà un perché

Opinionista: 

La scorsa settimana in questa “Lettera dal Palazzo”, abbiamo cercato di spiegare quale sia, a nostro avviso, il “perché” dei successi (reali o virtuali che siano) di Matteo Renzi. Cerchiamo oggi, sempre ovviamente secondo il nostro punto di vista, di chiarire il “perché” opposto: quale sia, cioè, la ragione per la quale, dopo una passata stagione di successi, il centrodestra di Silvio Berlusconi perda e in modo talmente consistente, come ha dimostrato il recente test elettorale in Trentino Alto Adige, da far pensare non ad una crisi momentanea, ma ad una caduta verticale di dimensioni non facilmente rimediabili. Individuare questa ragione ci sembra esercizio particolarmente intrigante alla luce di quanto recentemente accaduto in due grandi paesi europei: la Francia e la Gran Bretagna. In Francia il centrodestra moderato di Nicolas Sarkozy ha vinto esorcizzando lo spettro di Marine Le Pen, perduta nelle sue faide familiari; in Gran Bretagna, battendo le previsioni dei sondaggi, il successo (addirittura con maggioranza assoluta) ha arriso a David Cameron che ha relegato nell’angolo l’Ukip di Nigel Farange, l’alleato europeo di Beppe Grillo, per il quale si può ben dire che ha ballato una sola estate. Come spiegare, allora, lo stallo (ma in realtà sarebbe ben più corretto dire l’arretramento) del centrodestra in Italia? Per rispondere a questo interrogativo si deve partire da una premessa. Al di là del suo stesso orientamento, di destra, di sinistra o di centro che sia, una forza politica, specie con il tramonto delle ideologie (fenomeno sulla cui positività ci sia consentito qualche dubbio), una forza politica, per ottenere il successo, non può prescindere da due elementi essenziali: avere alla propria guida un leader dotato di carisma, capace di catturare il consenso dell’opinione pubblica e esser dotato di un progetto chiaro, con proposte che siano in consonanza con le attese dei cittadini e con una precisa strategia per realizzarlo. Il partito di Sarkozy e quello di Cameron sembrano essere in linea con questi requisiti. È vero: Sarkozy è un leader stagionato ed ha nel cassetto più di uno scheletro. Ma ha dalla sua un non trascurabile vantaggio: che a lui si può ben adattare il vecchio detto: "Poco se mi considero, molto se mi confronto”. I suoi rivali, infatti, o sono totalmente privi di carisma, come l’opaco Hollande che, più di un leader, ha l’aspetto di un modesto impiegatuccio, o sono, come Marine Le Pen, scarsamente affidabili per quella vasta area moderata che in ogni elezione ha da dire la sua. Quanto alle idee che le formazioni di centrodestra esprimono, in Francia come in Gran Bretagna, esse appaiono ben chiare e definite: saldamente ancorate ai principi liberaldemocratici quelle del partito di Sarkozy; innovative e riformiste, pur nella fedeltà ad antiche tradizioni, quelle dei conservatori di Cameron. E il centrodestra italiano? Partiamo dalla leadership. Quella di Berlusconi, diciamolo senza infingimenti, ha il piombo nell’ala. L’ex Cavaliere è come un vecchio leone che continua a ruggire, ma non spaventa più nessuno. Il suo carisma è appannato, la sua capacità di attrazione ridotta pressoché allo zero. Ci vorrebbe un erede più giovane, in grado di catturare nuovi consensi, di riporre nel cassetto i vecchi slogan che sanno di stantio. Ma, al momento, questo giovane leader non s’intravede all’orizzonte. C’è solo una pletora di piccoli aspiranti leader che, con un’ambizione inversamente proporzionale ai propri mezzi, ha provocato confusione e disgregazione. Ci sorge un dubbio: che sia stato un errore, ai suoi tempi, il divorzio da Gianfranco Fini? Certo è che quel divorzio non ha giovato né all’uno, né all’altro. E le idee? Crede davvero Berlusconi che, mutando il nome di “Forza Italia” in “Partito repubblicano”, riuscirebbe a riassorbire la diaspora che si è verificata nel centrodestra? Non scherziamo. Ci vuole ben altro. Qualcuno ha ipotizzato che sia stato Matteo Renzi, interpretandole con maggior piglio e con vigore giovanile, a “scippare” a Berlusconi le sue idee. Non è così, come dimostra il verdetto degli studiosi dei cosiddetti “flussi elettorali” secondo i quali, dal test del Trentino Alto Adige è emerso che i voti perduti da “Forza Italia” non sono andati al Pd renziano, ma hanno in parte infoltito le schiere degli astensionisti e in parte si sono indirizzati verso la Lega di Matteo Salvini. Ecco un altro grande pericolo. Uno schieramento di centrodestra è indispensabile, da qualunque parte ci si collochi, per un sano equilibrio politico. Ma se a farsene interprete dovesse essere la Lega di Salvini vorrebbe dire relegarlo al ruolo di forza minoritaria, fanatica e settaria.