In tutta Italia sarebbero almeno tredici le inchieste giudiziarie aperte sul traffico di rifiuti verso Paesi esteri. Al punto che la Procura Nazionale Antimafia, guidata dal giudice Franco Roberti, ha istituito un coordinamento finalizzato a seguire tutti i risvolti di questo business criminale, che vede coinvolte a pieno regime le ecomafie nazionali, le più attive d’Europa.

Sui rifiuti - urbani e industriali - mafia, camorra e ‘ndrangheta avrebbero consolidato un patto strategico per accaparrarsi i siti di smaltimento sia nei Paesi dell’Est europeo che in quelli della sponda balcanica. Il “patto delle discariche”, lo hanno definito…

La più attuale delle indagini è proprio quella che riguarda i milletrecento containers di rifiuti scomparsi in Albania, diretti alla discarica di Skopje e mai arrivati a destinazione. Dopo le rivelazioni del “Roma”, molti giornali e tv – in Albania, Grecia e Macedonia – seguono con attenzione la vicenda. La Procura di Stato di Durazzo, nella città portuale albanese in cui sarebbero passati i carichi – provenienti, via nave, dallo scalo italiano di Gioia Tauro – ha ufficialmente annunciato l’avvio di un’indagine. Ed  il Ministero dell’Ambiente della Repubblica di Albania, dopo le prime verifiche, ha appurato che non solo va chiarito il mistero dei containers mai transitati dalla dogana macedone, ma che né quelli, né molti altri, avevano richiesto o ottenuto il permesso obbligatorio riservato ai rifiuti in transito sul territorio del Paese.

A Tirana infuria la polemica delle opposizioni contro il Governo presieduto dal primo ministro Edi Rama. Nelle aule parlamentari, il capo dell’opposizione ha parlato di “genocidio” da inquinamento ambientale, usando una metafora forte, certo, ma adeguata alle decine di episodi di avvelenamento del territorio emersi in meno di un decennio.

Nel frattempo, presso le Ambasciate d’Italia a Skopje e Tirana viene segnalata una massiccia presenza di militari della Guardia di Finanza, che indagano - su delega della magistratura - sui containers scomparsi e sulle rotte del traffico di veleni.

Il dato riservato delle indagini in corso non è frutto di una violazione del segreto istruttorio. Il contorno inquietante di questa vicenda, destinata a sicuri e clamorosi sviluppi, era emerso da una nota di un funzionario dell’Istituto per il Commercio Estero di Skopje che aveva informato i suoi superiori della presenza di uomini della “polizia fiscale” italiana e persino di diplomatici, interessati a verificare la reale provenienza dei carichi e a smascherare, laddove possibile, il complicato intreccio di responsabilità locali che avrebbe favorito il business illecito.

D’altronde, se 1.300 containers di rifiuti scompaiono in un Paese come l’Albania, i trafficanti avranno certamente goduto di complicità istituzionali ai diversi livelli della pubblica amministrazione. Ed il sospetto che anche la politica possa – in qualche modo – essere coinvolta nella rete della “rifiuti connection” lo conferma, senza mezzi termini, la legge che una “lobby” di parlamentari ha cercato di far passare in Parlamento per legalizzare l’importazione transfrontaliera dei rifiuti. Legge, peraltro, fortemente sostenuta dal Primo Ministro Edi Rama, che smentiva così gli impegni assunti con i cittadini-elettori nel corso della sua campagna elettorale. “Mai più rifiuti dall’estero in Albania”, aveva tuonato. Ed in un Paese senza impianti di smaltimento, in cui perfino la discarica di Tirana appare come uno sversatoio a cielo aperto, arcaico e pericoloso per la salute, c’è da chiedersi come avessero immaginato di poter introitare anche i rifiuti di altri Paesi.