Antonino Della Notte (nella foto) è l’amministratore unico del Gruppo Antonio & Antonio. Ama definirsi un grande lavoratore che è stato sempre in prima linea nelle aziende di ristorazione gestite da suo padre Antonio insieme ai fratelli Vincenzo, Salvatore e Mario, e poi in quelle del Gruppo create da lui con alcuni cugini. È il presidente nazionale dell’associazione datoriale Aicast (Associazione Industria Commercio Artigianato Servizi e Turismo) della quale fanno parte più federazioni. Ne presiede anche una di esse, la Fiep (Federazione Italiana Esercizi Pubblici).

Quando inizia la storia della sua famiglia nel mondo della ristorazione?

«Con mio nonno Antonio, il capostipite che negli anni ’40 aprì una pescheria, “da Totonno”, in piazzetta del Leone a Mergellina. Mio padre Antonio mi raccontava che era un punto di riferimento di tutta la Napoli bene dell’epoca. Nella pescheria cominciò a lavorare papà, che era il figlio maggiore, e poi i suoi fratelli Vincenzo, Salvatore e Mario, qualche sorella e donna Pasqualina, mia nonna. Tra i tanti clienti che avevano c’era “Giuseppone a mare”, il famoso ristorante di via Ferdinando Russo, vicino alla residenza presidenziale di Villa Rosebery. Gli fornivano il pesce quotidianamente. Il proprietario, Peppone, ormai avanti con gli anni, un giorno chiese a zio Mario, il più intraprendente tra papà e gli altri zii, se i Della Notte volevamo rilevare il locale. Dopo una discussione in famiglia la proposta fu accettata e, ultimata una grande ristrutturazione curata dall’architetto Antonio Irace, a giugno del 1972 ci fu l’inaugurazione. Avevo 7 anni».

E la sua storia?

«Da subito. Studiavo e con costanza iniziai a frequentare il ristorante. A 10 anni ero già in grado di stare alla cassa e fare il tablottista. Quando mi iscrissi al “Mario Pagano” per prendere il diploma di ragioniere, presi coscienza che il lavoro di ristoratore era nel mio dna e che quello sarebbe stato il mio futuro. Cominciai a seguire assiduamente “Il Galeone”, un nuovo ristorante sulla collina di Posillipo che la famiglia aveva rilevato e che era vocato alle cerimonie. Lì mi sono fatto le ossa e in breve tempo, nonostante non avessi ancora 18 anni, ne assunsi la completa gestione ».

La sua giovane età non le creò problemi?

«No, per due ragioni. Ebbi in zio Mario un mentore molto bravo e mi riusciva naturale e facile fare squadra con i collaboratori. Avevo con loro un approccio umile ma deciso e sapevo ascoltare i consigli dei più esperti come il maitre di sala Antonio Pippus».

Sono gli anni in cui i fratelli Della Notte incrociarono sulla loro strada lo storico “Zì Teresa”…

«Purtroppo l’ultracentenario ristorante di Borgo Marinari, gestito da una signorina tedesca, a fine anni ’70 si trovò in grandi difficoltà e si profilò lo spettro del fallimento. Per evitare il crack, con l’inevitabile licenziamento dei dipendenti e la fine di un’azienda che dava lustro alla città, il magistrato interessato della questione cercò tra gli imprenditori del settore di conclamata serietà professionale e solidità economica e finanziaria, chi fosse disposto ad assumere la gestione controllata del ristorante finalizzata alla vendita dell’attività per ripianare i debiti. Papà e gli zii diedero la loro disponibilità e iniziarono l’azione di risanamento che culminò con l’acquisto da parte della famiglia di “Zì Teresa”».

Questo evento ha avuto un valore molto importante nella sua formazione. Perché?

«Ha contribuito a farmi crescere e a completarmi. All’epoca gestivo “Il Galeone” e quando iniziava la stagione invernale, che era un po’ morta per le cerimonie e i matrimoni in particolare, nel tempo che mi restava libero dallo studio andavo al Borgo Marinari, da zio Mario, dove imparai che cosa fosse un ristorante di “spicciolata” e come bisognava condurlo».

“Zì Teresa” ha segnato anche il momento della sua consacrazione professionale…

«Ho iniziato a tessere relazioni con persone importanti che frequentavano il ristorante. Primo fra tutti l’ambasciatore Leonardo Visconti di Modrone, coordinatore del vertice G7 di Napoli del 1994. Durante i preparativi di questo importantissimo evento, che si svolsero per tutto l’anno precedente, quasi ogni giorno veniva a mangiare da noi. Un giorno mi chiese consiglio su dove tenere la conferenza stampa del presidente degli Stati Uniti, Bill Clinton. Gli proposi la terrazza di “Zì Teresa”, con il presidente che aveva sullo sfondo la “guache” di Castel dell’Ovo. Accettò e come “ricompensa” gli chiesi solamente di farmi stringere la mano a Bill Clinton e di farmi fare una foto insieme a lui. Nella serata della domenica conclusiva del vertice l’ambasciatore mi fece recapitare dal suo autista gli stessi regali che erano stati dati ai Capi di Stato partecipanti e dopo qualche giorno mi arrivarono i ringraziamenti scritti di Clinton».

Quando c’è stata la svolta che le ha aperto la strada per farla diventare un manager importante della ristorazione?

«Qualche anno dopo. Ebbi un’intuizione e cominciai a percepire che il gusto della gente per il mangiare stava cambiando e che le persone volevano una ristorazione più veloce e con un grande assortimento. Insomma capii che non si voleva mangiare solo pesce, anche se servito in tutti i modi possibili, o solo carne. Ne discutevo molto con zio Vincenzo, che nel frattempo aveva preso il posto di zio Mario che era ritornato da “Giuseppone a Mare”. Quando si presentò l’occasione di rilevare un ristorante, “I quattro ladroni” a via Crispi, lo prendemmo e lo chiamammo “Antonio & Antonio”. I soci eravamo io e mio cugino Antonio, figlio di zio Vincenzo. Con noi lavoravano anche due mie sorelle, Giuliana e Maria Rosaria».

Quale fu lo scopo di questa operazione?

«L’acquisizione di conoscenze nel campo della pizzeria e sperimentare in concreto la mia idea. Nacque così il primo ristorante che contemporaneamente faceva anche pizze con il forno a legna. Fu un grande successo».

Quando è “approdato” a via Partenope?

«Nel 1998. Lo devo a un grande amico che ora purtroppo non c’è più, si chiamava Piero Valente. Era un immobiliarista che quasi quotidianamente faceva la pausa pranzo da “Zì Teresa”. Mangiava spaghetti al pomodoro fresco e basilico annaffiati da un calice di Falanghina gelato. Quando il tempo lo permetteva si faceva apparecchiare il tavolo sulla terrazza, al sole. Un giorno mi disse: “Anto’ devi ascoltare un mio consiglio. C’è la possibilità di rilevare un ristorante, “Il Gabbiano”, su via Partenope. Sono amico del proprietario, Franco Aladich, non ha figli e perciò lo vuole cedere. Ti devi prendere questo locale”. Ne parlai con zio Vincenzo che diede il suo benestare. Aprimmo il secondo Antonio & Antonio e nacque l’omonimo Gruppo di cui sono l’amministratore unico e nel quale sono entrati a fare parte anche i miei cugini Silvio e Sara».

Si parla di lei come l’artefice del “fenomeno di via Partenope”. In che senso?

«Bisogna ricordare che nel 1998 via Partenope era la strada delle concessionarie di automobili e di uffici. C’era solo una pizzeria “Il regno di Napoli” e il ristorante “Il Gabbiano”. Quando lo rilevammo sfondammo con il nostro nuovo modo di fare ristorazione. Vicino a una buona pizza proponiamo piatti di qualità con una varietà e un assortimento che non si trova da nessun’altra parte. Il nostro esempio è stato seguito da altri e nel tempo si è assistito a un susseguirsi di aperture di locali che sono tutti ristorante e insieme pizzeria. Solo il nostro Gruppo ne annovera tre: “Antonio & Antonio”, “Gusto & Gusto” e ”Acquolina ”. Quest’ultimo gestito da due figli di mia sorella Giuliana, Antonio e Andrea, con il socio Patrizio Franco. Chi passeggia ora per via Partenope vede tanta gente seduta ai tavoli a mangiare: una caratteristica macchia di colore, folklore e buona cucina».

Ha portato “Antonio & Antonio” anche oltre i confini cittadini…

«A Caserta dove abbiamo aperto un altro ristorante e pizzeria con questo nome, in via Unità italiana, di fronte al monumento ai Caduti. In breve tempo è diventato un importante punto di riferimento della città».

E la sua esperienza nelle “cerimonie” maturata al “Galeone”?

«Non l’ho dimenticata, tanto è vero che abbiamo rilevato una grossa struttura a Pozzuoli, “Villa Posillipo”, e a Napoli l’ex “Cenacolo Belvedere”, in via Aniello Falcone. Oggi si chiama “Belvedere Carafa”».

Da poco si è affacciata su via Partenope anche la quarta generazione dei Della Notte…

«È mio figlio Antonio nel quale rivedo e rivivo me stesso da giovane. È uno dei pilastri di “Antonio & Antonio” di via Partenope. Si affianca a mio cugino Antonio perché mi dedico prevalentemente alla supervisione dei nostri ristoranti».

Un giudizio su questo mestiere?

«Comporta tanti sacrifici. Ti tiene lontano da casa nei giorni più belli. Non ti dà quasi mai la possibilità di gestire la tua vita. Non esistono la domenica e le festività, quando di solito si mangia a casa in famiglia o si va fuori. Per abitudine noi pranziamo alle 12 perché dopo, tutto il tempo è dedicato al cliente. È un lavoro che può fare bene solo chi lo ama veramente».

Qual è il segreto del suo successo?

«Avere alle spalle una grande donna come moglie e il forte feeling che esiste con i miei cugini, in primis con Antonio».