Alfredo Giacometti (nella foto), napoletano verace, nato a Santa Lucia e cresciuto nei vicoli di Napoli, è un imprenditore pubblicitario. Persona eclettica, dotata di un’intelligenza poliedrica e fortemente creativa, nel tempo ha trasformato la sua “bottega” nella Giacometti Groupsrl che, con l’intervento dei suoi cinque figli, è diventata la capogruppo di una piccola holding a cui partecipano altreaziende familiari specializzate in singoli settori: la Cinquemetri srl, per la grafica e la stampa digitale; la Publionda,agenzia media per le pianificazioni delle affissioni; la Tristarsrl, proprietaria di impianti di arredo urbano nella città di Napoli. Nel 2012 è stato nominato Cavaliere di San Gennaro dal cardinale Crescenzio Sepe«Mio nonno materno, Alfredo Stellato, era il sarto del re. Lamia era perciò una famiglia benestante, ma la guerra cambiò il suo destino. Nonno non seppe adeguarsi ai nuovi tempi conseguenti al referendum che aveva abolito la monarchia. Nonostante l’aiuto di mio padre Vincenzo, già pilota dell’aeronautica militare di stanza in Veneto, la sartoria dovette chiudere e la famiglia finì sul lastrico.  Conoscemmo la vera miseria, i morsi della fame e tante umiliazioni che si sono ben impresse nella mia mente e che non dimenticherò mai. Secondo di sette figli, a tredici/quattordici anni dovetti lasciare la scuola ed iniziai a lavorare come garzone di un bar ma la svolta nella mia vita la ebbi quando andai a lavorare da un “letterista” che si chiamava Luigi Duccillo, era un artigiano che aveva una bottega di cartellonistica in una traversa di via De Pretis ed era un vero grande artista».

Ci spieghi.

«È stato il destino! Ero amico del fratello di una ragazza chepoi è diventata mia moglie e frequentavo la sua casa. La madre, in cerca di un lavoro per il figlio, chiese a Duccillo sepoteva assumerlo. L’artigiano si dimostrò disponibile ma ilmio futuro cognato rifiutò. Mi proposi io e mi prese».

 Che cosa faceva?

«Iniziai come garzone ed aiutante montatore di tabelle che aquei tempi venivano fatte interamente a mano con pennelloe pittura. Imparai il mestiere di letterista velocemente e dopo circa un anno e mezzo mi misi in proprio. Era il 1964».

 Fu un inizio difficile?

«Dicevano che ero bravo e cominciai rapidamente ad acquisire piccoli clienti. Di lì a poco vennero quelli importanti. Il primo in assoluto fu il notaio Piccinni che era proprietario degli impianti sciistici di Monte Pratello a Rivisondoli,poi sono venuti il Latte Matese, la Birra Peroni, l’Ati (le linee aeree nazionali del gruppo Alitalia), Confindustria e tanti altri. Con l’avvento della serigrafia mi specializzai per igrossi formati e sono stato il primo a Napoli a poter realizzare copie limitate di maxi poster per le affissioni».

 Contemporaneamente si dedicò anche agli allestimenti…

«Non subito. Rapidamente il mio nome fu conosciuto positivamente per gli ottimi risultati che conseguivo nel lavoro diletterista. Diventai il fornitore di fiducia dello Studio Octa deldottor Petronio Petrone che è stata, a mio modesto avviso, lapiù importante Agenzia Pubblicitaria esistita sul territorionapoletano di quel periodo. Grazie ad essa ho acquisito come clienti tutte le migliori strutture in cui si realizzavano eventi in Campania. In un primo momento soltanto per la cartellonistica e le decorazioni poi gradatamente anche dell’allestimento completo dell’evento. Il cliente più importante eraNino Naldi, Cavaliere del Lavoro e padre di Salvatore Naldi.Era il proprietario di tutti gli alberghi del lungomare ad eccezione dell’Excelsior. Inoltre, avevo come clienti i migliori alberghi di Capri, incluso il Quisisana e quelli di Ischia a partire dal Regina Isabella.Tramite le agenzie specializzate entrai, poi, nel circuito dei congressi e ben presto ne acquisiiquasi il monopolio. Dopo qualche anno ero diventato a Napoli il numero uno per gli allestimenti degli eventi».

 Qual è stato il momento in cui il suo nome si è affermatoa livello internazionale?

«Nel 1998, con la realizzazione dei punti di vendita personalizzati per il marchio  Paul&Shark».

 Quando ha conosciuto il proprietario di questa azienda?

«Paolo Dini, accompagnato dal suo rappresentante napoletano, Marchese Gifuni, venne a trovarmi nel marzo del 1974,perché voleva realizzare una piccola campagna pubblicitaria. Mi disse che aveva acquistato dal tribunale di Varese unapiccola fabbrica di maglie di lana che si trovava in stato prefallimentare. Si era fatto fare un logo da un grafico di Torino e lo voleva pubblicizzare avendo avuto la possibilità direalizzare un maglione idrofugo e metterlo in vendita in un barattolo di latta decorato con il marchio Paul & Shark. Michiese di studiargli una campagna che lo aiutasse a venderlo. Gli creai un manifesto ad hoc che feci affiggere a Napolied in altre città del sud. Lo slogan fu: Paul & Shark “Il pullover per il mare”. Quel manifesto fu l’inizio del prestigiosocammino intrapreso dal suo brand».

 E del suo sodalizio con lui…«Nel gennaio del 1975 mi convocò a Varese. Mi “imbarcai”con moglie e figli piccoli nella mia Fiat 128 e andai alla suafabbrica. Trovammo molta neve ed era la prima volta che nevedevamo cosi tanta».

 Che cosa le disse?

«Le sue parole le ho impresse nella mente: “Giacometti, il tuomanifesto è stato un successo, ho dovuto triplicare i turni, dimmi che vuoi fare perché da ora in poi non ci lasciamo più”. Eraed è un uomo geniale, ovviamente era lui l’artefice del successoed aveva le capacità di saper ricavare dai suoi collaboratoriil massimo dell’impegno e della disponibilità, ti trattava allapari, ti faceva sentire importante. Aveva delle doti imprenditoriali straordinarie ed aveva realizzato un prodotto superqualificato. Cosi io fui proiettato in una realtà internazionale. Paul & Shark cresceva e io insieme a lui».

 Quando è cessata la collaborazione?

«Nel 2014. Al timone del brand era subentrato da qualcheanno il figlio il quale, a mio avviso, aveva sempre soffertoche un napoletano lo rappresentasse in giro per il mondo. Mipropose di trasferire la nostra attività a Varese, in locali di suaproprietà. I miei figli di questa eventualità non ne vollero proprio sapere».

 Nella sua vita di imprenditore c’è stato un  momento in cuiha deciso di scendere in campo per denunciare le ingiustizie e il malcostume nel sociale. Perché?

«Fino agli anni ’90 la pubblicità commerciale sul suolo pubblico era monopolio dei Comuni. Una legge dello Stato la liberalizzò e i privati ebbero la possibilità di chiedere spazi suiquali istallare i loro impianti. Feci la domanda per 300 tabellesu Napoli. Non mi fu concesso neanche uno spazio. Un giorno, mentre mi trovavo a Cortina per lavoro, ricevetti una telefonata da una persona che rappresentava un gruppo politico. Mi chiese un incontro a Milano. Ci vedemmo e mi disse che avrebbe potuto farmi avere l’autorizzazione per le 300tabelle a condizione che formassi una società con le persone che rappresentava nella quale io sarei stato il socio di minoranza al 49%. Rifiutai categoricamente e capii che la politica stava mettendo le mani sull’imprenditoria per fare affari. Si instaurava e prendeva potere, gradatamente, un sistema politico partitocratico e corrotto che negli anni è diventato un vero e proprio regime. Di lì a poco sarebbe scoppiata Tangentopoli».

 Che cosa fece?

«Fondai il movimento “Il Lavoratore Italiano” e iniziai lamia battaglia contro le ingiustizie sociali».

 Come?

«Organizzai congressi, conferenze stampa, misi manifesti emanifestazioni di piazza che protestavano di volta in voltasui problemi che si presentavano in particolare nella nostracittà. Azioni che mi procurarono molta popolarità. Ero costantemente intervistato dai media. Ebbi un grande seguito.In quel periodo avevo come cliente l’Ippodromo di Agnanoil quale mi concesse l’utilizzo della sala congressi che noistessi gli avevamo realizzato. Ai nostri incontri partecipavano sempre numerosissime e qualificate persone. Questo, naturalmente, diede molto fastidio in certi ambienti e mi creainemici».

 Quali battaglie ha fatto?

«Tantissime. La prima fu quella contro il proliferare dei tassi di interessi bancari che all’epoca avevano raggiunto percentuali allucinanti e non più sostenibili dalle aziende. Cito,inoltre, quella per la liberalizzazione della Tangenziale, quella contro l’allora GestLine, oggi Equitalia, per finire conquella contro l’abusivismo delle tabelle pubblicitarie».

 Una in particolare creò molto scalpore. Ce ne parla?

«Feci da solo l’occupazione del Castel dell’Ovo. Il DemanioMarittimo voleva trasferire i suoi uffici nel “Castrum Lucullianum” scippandolo ai cittadini e privandolo della destinazione turistica cui era vocato. Venne da me una delegazionedi signore titolari di Agenzie di pubbliche relazioni napoletane a protestare. Per sette giorni occupai il Castello incatenandomi nella sua parte più alta. Alle mie spalle avevo messo un grande manifesto con la scritta “Giù le mani dal Castello”. Durante la mia volontaria “prigionia”, la sera, attraverso una porticina segreta che immetteva in un corridoio che arrivava vicino al circolo nautico Italia, i ristoratoridel Borgo Marinari mi portavano da mangiare. Ancora oggi ho un ottimo rapporto con il proprietario de “La Scialuppa”».

 Volevano arrestarla, ma poi?

«Venne da me l’ispettore di polizia Andrea Fioretti, con ilquale sono rimasto in amicizia fino a quando un mese fa èdeceduto, e mi disse: “Giacometti ti prometto che non ti arresto. Tutta Napoli parla di te. Il Prefetto vuole incontrarti. Senon trovi un accordo con lui, ti do la mia parola d’onore cheti riaccompagno qui”. Accettai e il Prefetto mi comunicò chela mia protesta era andata a buon fine e che se volevo potevo tornare a casa. Lo feci e il giorno dopo ero in prima pagina su tutti i giornali, avevo vinto!».

 Ha vinto tante battaglie, ma quella che la riguarda personalmente, al momento, la vede soccombente…«È di questi giorni la sentenza d’appello che conferma lacondanna che ho ricevuto in primo grado per un reato che nonho commesso e le prove presentate nella fase processualehanno dimostrato ampiamente che non sussiste. La vicendariguarda una presunta aggressione che avrei fatto insieme amio figlio e ai miei due generi  ai danni di un vigile urbanoche con alcuni suoi colleghi aveva rimosso un mio impiantopubblicitario ritenuto falsamente abusivo».

 Accetterà la sentenza?

«Assolutamente no. Aspettiamo di leggere le motivazioni perpoi decidere che cosa fare e in quale sede».

 Questa situazione l’ha convinta a scendere in politica?

«È stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Ho presocoscienza che da soli non si va da nessuna parte e che se sivuole dare una scossa significativa per raddrizzare il nostropaese occorre unire la propria voce e le proprie forze a quella di persone  con le quali si condividono valori, principi e programmi di rinnovi e cambiamenti».

 Qual è stata l’occasione?

«Nello scorso luglio sono stato chiamato da Vincenzo D’Onofrio e Vittorio Adelfi per organizzare al Metropolitan il congresso per l’elezione del segretario regionale della Democrazia cristiana, partito politico che non è mai stato sciolto.Ho preparato lo slogan “Ritorniamo al passato per salvareil futuro”. Al congresso sono venute 450 persone e D’Onofrio è stato eletto segretario. Lo slogan ha colpito tutti e soprattutto il segretario nazionale Angelo Sandri che mi ha convocato a Roma e mi ha chiesto se volevo interessarmi dellapromozione di quanto il partito farà nel suo futuro. Ho accettato principalmente perché ne condivido gli obiettivi».

 Quale carica ricopre nel partito?

«Sono stato nominato responsabile nazionale della pubblicità e della comunicazione del partito».

 Cosa si propone nell’immediato futuro?

«Ho cinque figli e dodici nipoti, non li posso lasciare allamercè del “porcile” che sono oggi le cabine di regia di buona parte delle istituzioni dove non esiste più nemmeno il “diritto”, elemento fondamentale per ogni democrazia. Il gravissimo episodio dei vigili urbani e le sue conseguenze lo dimostrano. Sento il dovere di lottare per far cambiare le cosee spenderò gli ultimi anni della mia vita per questo obiettivo.Ho dissotterrato l’ascia di guerra, sia come membro dellanuova Democrazia cristiana che come presidente del movimento “Il Lavoratore Italiano” nel prossimo futuro risentireteparlare di me. E mi aspetto di tutto».