Aldo Masullo è un filosofo (nella foto). Laureato in Filosofia e in Giurisprudenza, è professore emerito di filosofia morale presso l’Università di Napoli. È stato deputato e senatore della Repubblica.

«La mia prima passione culturale è stata la letteratura narrativa e poetica piuttosto che non la filosofia. Peraltro La filosofia stessa è un’ espressione letteraria. Al liceo ebbi un indimenticabile professore di storia e filosofia, Alberto Schettini. Egli svolgeva il suo compito con straordinaria serietà e sapeva far capire a fondo le materie trattate. Da lui ebbi la prima grande lezione di filosofia ».

All’Università si iscrisse al corso di laurea in Lettere moderne...

«Seguii i miei amori adolescenziali. Durante il corso scelto dovevo sostenere tra gli altri un esame di Letteratura greca. La insegnava, e insegnava anche Letteratura latina, il professore Arnaldi, studioso di grande valore ma di altrettanto grande severità. Per l’esame orale di latino richiedeva, per esempio, la traduzione ad apertura di libro ed il commento di tutta l’Eneide, e, per l’esame di greco, traduzione e commento di tutte le Odi di Pindaro. Mi capitò di dovere rispondere sulle odi di Pindaro. Fidando nel mio ottimo studio liceale del greco, all’esame osai affrontare con superficialità baldanzosa, quasi all’impronta, la prova di traduzione. Il professore non esitò a interrompere l’esame e invitarmi a tornare più preparato. Colpito nella mia giovanile presunzione, m’indispettii e decisi che quell'esame mai più lo avrei sostenuto ».

E che fece?

«Passai al corso di laurea in Filosofia. Per questo dico celiando che sono filosofo per caso».

Si iscrisse anche alla facoltà do Giurisprudenza. Come mai?

«Dopo la laurea con lode in filosofia, m’iscrissi alla facoltà di giurisprudenza. I problemi del diritto mi avevano sempre affascinato. Laureatomi dunque anche in questa disciplina con 110 e lode, superai l’esame per Procuratore Legale e iniziai la professione forense da penalista. Ebbi anche alcuni successi giudiziari. Poi decisi di abbandonare».

Perché?

«Avevo continuato a coltivare gli studi di filosofia e vinto nella mia antica università, che oggi si chiama Federico II, il concorso per una borsa di studio di perfezionamento con funzioni di assistente volontario alle cattedre di filosofia. Alla fine mi resi conto di non poter fare seriamente nello stesso tempo l’avvocato e lo studioso di filosofia. Peraltro non mi erano mancate amarezze nei rapporti con colleghi, clienti e magistrati. Quasi certamente l'avvocatura mi avrebbe fatto guadagnare molto di più, ma mi resi conto che dovevo scegliere. Prevalse il mio amore profondo per la filosofia».

Professore, chi è il filosofo?

«Bisogna distinguere tra professore di Filosofia e filosofo. Il professore di Filosofia è una persona che, avendo studiato i filosofi maggiori, le grandi epoche culturali in cui la filosofia ha esercitato la sua influenza, le diverse interpretazioni critiche proposte lungo il corso storico della filosofia, è in grado di partecipare sistematicamente ad altri questa parte rilevante della cultura umana, occupata a riflettere sui grandi problemi-limite della mente come Dio, il mondo, l'anima, il bene, il bello, etc».

Il filosofo invece?

«Non appartiene a una categoria professionale, è soltanto una persona che ha un atteggiamento mentale speciale, che ogni mente umana può assumere».

Quale è questo atteggiamento mentale?

«Innanzitutto il desiderio di capire se stessi, il proprio rapporto con il mondo e con gli altri esseri umani. Chiunque si affatichi nello sforzo di soddisfare fa filosofia».

Quale è stato il suo maestro?

«Il mio vero maestro dopo la laurea fu Cleto Carbonara, perché oltre che essere un severo studioso della storia della filosofia nutriva fortemente la passione del vivo pensare e ne contagiava altri. Si era posto il problema del metodo. I suoi grandi ispiratori erano Gentile e Croce. Il pensiero è soprattutto il lavoro mentale per mettere in connessione immagini, fantasie, ragionamenti di menti diverse. Questo è dialettica. Lui ne era fortemente capace. E proprio la dialettica ho imparato da lui».

Quale è il suo orientamento filosofico?

«Mentre Carbonara era legato per la sua formazione al mondo della filosofia idealistica italiana, e la criticava dall’interno, io fui presto sedotto dalla fenomenologia. Perciò soggiornai per qualche anno in Germania dove ascoltai Martin Heidegger e feci amicizia con Eugen Finck, l'ultimo assistente ordinario di Edmund Husserl, che era stato filosofo di grande forza teorica e fondatore della fenomenologia».

Che cosa è in sintesi la fenomenologia?

«È un richiamo alla verità prima delle cose, al loro originario apparire, che è in unoil destarsi della coscienza. È una sospensione cautelare della nostra credenza riempita da opinioni stratificate e da artifici culturali. È un attivo, mai terminato esercizio di depurazione dell’intelligenza ».

Professore è stato deputato e poi senatore della Repubblica. Quando è nato il suo interesse per la politica attiva?

«Ho vissuto come professore ordinario di filosofia morale gli anni immediatamente precedenti e quelli subito successivi al movimento studentesco del 68. Nel 67 ero a Napoli alla Federico II, dove si avvertivano i prodromi del movimento. Nel 68 insegnai all’ateneo di Catania proprio quando il movimento scoppiava in Sicilia. Poi tornai definitivamente a Napoli. Intellettualmente vivacissimi erano i miei allievi e culturalmente avanzati. Tutti noi avevamo un rapporto intenso, creativo. Essi nel 1972 m’indussero ad accettare la candidatura parlamentare ».

Perché lo fece?

«Era l’anno in cui scricchiolii non molto rassicuranti si avvertivano nella vita democratica italiana. A Giovanni Leone, persona di altissimo livello e rispettabilissima, toccò di essere eletto Presidente della Repubblica con i voti anche del partito neofascista. Militanti neofascisti avevano assaltato fisicamente la facoltà di lettere dell’ateneo federiciano. Era un periodo di grande tensione politica. I miei studenti mi convinsero della doverosità di un impegno ufficiale e di accettare la candidatura propostami dal Partito Comunista, al quale peraltro non m’iscrissi né allora né mai, avendo da lungo tempo maturato in me il principio di esser libero da qualsiasi obbedienza ideologica di qualsiasi genere. Sono stato ogni volta eletto come indipendente nelle liste del Partito comunista. Quello che mi è stato sempre a cuore come prospettiva politica è la difesa del rispetto che l’uomo deve avere di se stesso».

Il suo giudizio su queste esperienze parlamentari?

«La prima, del 72-76, fu molto interessante. Non conoscevo quel mondo. Facevo parte della commissione Cultura, in cui tutti lavoravano con serietà e competenza, a prescindere dal colore del proprio partito. Successivamente, da senatore, l’esperienza fu particolarmente pesante. Il mio gruppo parlamentare, la Sinistra indipendente, mi designò come senatore europeo. Anche in questa funzione feci esperienze intense. Allora nel parlamento europeo non c’era commissione per la Cultura e fui assegnato alla Giuridica. Ne faceva parte anche Nilde Iotti. Con lei, donna di straordinaria acutezza politica e sensibilità umana, ebbi un rapporto di forte ed amichevole collaborazione».

Napoletano d’adozione e cittadino onorario. Quale è il suo giudizio sulla nostra città?

«Alcuni anni fa pubblicai un libro intitolato “Napoli siccome immobile””. È una città che, come ho spesso detto, ha il torto di rappresentarsi e non di presentarsi. È una città nella quale si ama recitare se stessi, è genialmente teatrale. Ma nella realtà è ferma, lenta sul piano politico e civile, non riesce a mettersi in moto, stenta a ripartire. Ogni tanto cerca di farlo, poi ritorna in uno stato letargico». Perché tutto questo? «La grave colpa dei napoletani, soprattutto di quelli cosiddetti “bene” e potenti, è di non sapersi unire, di non fare sistema. Ricordo da quando ero parlamentare che se c’era un problema in un territorio del nord, tutti i politici a cui esso si riferiva facevano quadrato, senza divisioni di partito o d’interessi settoriali».

Ma il napoletano ha una identità?

«Tutto il popolo italiano non riesce a essere veramente coeso. Per lunghi secoli siamo stati divisi e sudditi di sovrani stranieri. Siamo stati abituati così ad essere cortigiani, ad azzuffarci tra di noi, ognuno per acquistarci l’un contro l’altro il favore del dominatore. Napoletano però è Pulcinella, tipo umano speciale. Io qualche anno fa ho immaginato e scritto un dialogo tra Pulcinella e Abelardo, celebre filosofo medievale (il dialogo è pubblicato in un numero della rivista di Estetica edita dal Mulino). Pulcinella per me è il padre di Eros presentato da Platone nel Simposio. Si chiama Poros e in un’occasionale incontro con Penia, misera vagabonda, genera Eros. Il termine poros in greco significa “strettoia”, ma anche l’abilità nel venirne fuori. Chi è Pulcinella se non chi si trova sempre in qualche angustia, e sempre riesce con un improvviso espediente a superarla? Egli sgattaiola negli stretti vicoli della nostra città e riesce sempre ad attraversarli, a risolvere le sue difficoltà e spesso anche quelle di altri. Accanto a tutti i suoi difetti, ha la virtù, che altri non hanno, di riuscire aguzzando l’ingegno, a salvarsi. Se dunque il napoletano è Pulcinella, Pulcinella è il Poros platonico».

Come è la società contemporanea?

«Bisogna innanzitutto prendere atto che la società è profondamente cambiata, perciò la vecchia politica è impotente. Come ho qualche volta scritto, essa è paragonabile ad un abito con cui si voglia per forza continuare a vestire mutato di forma. I cambiamenti sono complicatissimi e tutti preoccupanti come la finanziarizzazione dell’economia, la globalizzazione del commercio, l’esplosione della potenza tecnologica. Il potere politico è sempre più concentrato nella macchina informatica. Il movimento 5 Stelle lo ha dimostrato. Chi ne ha il controllo decide per tutti. Questa realtà ci pone di fronte al pericolo sempre più reale di un’espropriazione dell'umanità dell’uomo».

Che cosa dice ai giovani?

«Siano attenti a custodire, anzi arricchire la propria umanità. Sviluppino ed usino le tecnologie, ma non se ne facciano servi. Non si scoraggino e facciano tutto quel che possono per dare forma al futuro comune».

Ma chi è Aldo Masullo?

«Un filosofo della vita amareggiato dall’idea che morirà senza essere riuscito a capire chi egli veramente è».