Accessibilità:
-A A +A
Print Friendly, PDF & Email

“Leopolda” napoletana, nel mirino Conte e Pd

Opinionista: 

Occhi puntati oggi sul florido “vivaio” napoletano di “Italia Viva”, la neonata creatura politica renziana, che, nel pomeriggio, ore 17, 30, nel salone dell’Università Pegaso di piazza Trieste e Trento, farà un primo bilancio di idee, di apporti sempre più crescenti e qualificati, in cui sono dati per certi i contributi di prestigiosi intellettuali come Biagio De Giovanni e Paolo Macry e di una serie di amministratori, dalle aree metropolitane a quelle interne. La convention, nella città tutt’altro che “derenzizzata” come la sognava un de Magistris furioso, assume una particolare importanza in vista della “Leopolda”, l’assise annuale renziana della prossima settimana. Che, indipendentemente da come la si possa giudicare, quest’anno va accolta con favore e interesse comprensibili, segnando finalmente il ritorno della politica, indispensabile per la democrazia. Altro che le dubbie piattaforme grilline alla maniera dei divertenti, buffi responsi degli antichi oracoli di Delfi e della Sibilla! Ne sentivamo assoluto bisogna dopo la lunga ossessionante “quirinalizzazione”, resasi necessaria per mediazioni istituzionali in un quadro di incomunicabilità e di contrapposizioni, “governato” prima da Napolitano e ora da Mattarella, oltre ogni ragionevole auspicio, motivo di una permanente delegittimazione con i “vaffa” dei grillini, ora diventati dei pii “catecumeni”. Noi comprendiamo l’amarezza del Pd, per la scissione di Renzi, venuta in un momento non facile e con mire anche “liquidatorie”, ma è un po’ troppo farla passare come l’anomalia odierna più perniciosa e da combattere. Questo partito, oltre a non essere riuscito a ricercare le ragioni della sua endemica crisi, continua a non rendersi conto che, nel nostro Paese, c’è un’immensa area del disagio, comprendente giovani, pensionati e ceto medio, totalmente ignorata. Un Pd, autenticamente pluralista al suo interno, con filoni storici molto attenti al sociale, avrebbe dovuto avere una sensibilità maggiore nel capirlo. Invece demonizza Renzi che ha pensato per tempo a come prendersene meglio cura rispetto al passato. Giova ricordare che, anni fa, tra le tante analisi del montante fenomeno Renzi, ce ne fu una molto profonda, profetica addirittura, alla luce delle odierne necessità, apparsa sul “Corriere della Sera” a firma di Antonio Polito. Questi fu l’unico ad appioppare al successo renziano un “marchio di garanzia”, per certi versi, rivoluzionario, in quel momento, di “nuovo centro”. Facendo piazza pulita dei vecchi, inconcludenti sofismi, disse chiaro e tondo che la valanga renziana nasceva per aver saputo occupare il centro dell’elettorato. Un “nuovo centro”, come Schroeder chiamava la sua Spd , e “Center of left”, centro di sinistra, come Blair definiva il suo “labour”. Sempre allora però, si chiedeva ancora Polito con un interrogativo molto problematico: “Questo partito, il Pd, completamente differente da tutti quelli che lo hanno preceduto nella lunga catena genetica della sinistra, durerà, capirà?”. Mentre il Pd arranca, Renzi da tempo ha capito altro, che il sogno centrista, della sua “centralità”, lo coltiva Conte, la riprova è nel suo vertiginoso protagonismo in pose da prima pietra, da vecchia Dc dei De Gasperi e dei Colombo, fino a dichiararsi nostalgico degli anni Cinquanta, conosciuti solo attraverso i racconti fattigli dal padre. La grande anomalia odierna è lui, un premier, in principio grillino per contratto e ora “neo doroteo” per restare in sella con il silenzio assenso di un Pd senza bussola. È chiaro che veda Renzi come un guastafeste. Che, statene certi, qualche preavviso glielo manderà dalla “Leopolda”. Se no che “Leopolda” è?