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Ai conti non (Def)initi e con un punto debole

Opinionista: 

Mille giorni. Mille giorni per sapere se saremo stati in grado di fare il più grande affare dai tempi del Piano Marshall o se sarà stato solo l’ennesimo disastro. È il tempo che manca per spendere tutti i 194 miliardi di euro del Pnrr e attuare le riforme connesse. Il 2024 è l’anno decisivo, quello in cui l’effetto del Piano europeo sulla crescita italiana deve iniziare a materializzarsi in modo concreto. Significa cantieri che aprono, lavori che partono e imprese che assumono. Quanto sia determinante questa partita il Governo lo ha messo nero su bianco nell’unico, vero numero contenuto nel Documento di economia e finanza (Def) appena approvato: quello della crescita prevista all’1%. A giustificare un cauto ottimismo ci sono certamente i segnali di risveglio dell’economia promessi dagli ultimi indici “anticipatori” Pmi, che descrivono una manifattura italiana tornata in progresso dopo un anno in rosso; ma c’è soprattutto l’impatto del volume di fuoco delle risorse Ue, da cui si attende nel 2024 una spinta decisamente superiore rispetto agli anni precedenti. Questi investimenti avranno un peso decisivo: non si può sbagliare e Giorgia Meloni farebbe bene a orientare tutte le forze al raggiungimento di quest’obiettivo. Rispetto all’autunno scorso, la variazione prevista per il Pil quest’anno passa dall’1,2% all’1%. Una revisione al ribasso di lieve entità, che però conferma il rallentamento dell’economia italiana e che si traduce in margini di manovra più stretti per le finanze pubbliche. Un punto essenziale, visto che quello delle risorse è il vero nodo da sciogliere. Il quadro dei conti pubblici, infatti, resta complicato da una struttura del Bilancio che nessuno vuole assumersi la responsabilità politica d’intaccare. Dal 2021 a oggi l’importo complessivo di tutti i bonus edilizi ha raggiunto quota 219 miliardi, più dello stesso Piano europeo. Il rubinetto è stato appena chiuso, ma gli effetti nefasti dell’illusione dei pasti gratis sono destinati a gravare sui conti ancora per molto tempo: già l’anno prossimo il debito pubblico sfonderà, per la prima volta, il tetto dei 3mila miliardi. Rimane la grande incognita delle risorse per mantenere anche il prossimo anno il taglio del cuneo fiscale e l’Irpef a tre aliquote, evitando così l’aumento delle tasse per 15 miliardi. Proprio su questo il Def manifesta il suo punto più debole. Da un lato Palazzo Chigi ha ribadito l’impegno a confermare le misure; dall’altro però non ha detto come intende finanziarle, prevedendo allo stesso tempo una riduzione del deficit dal 4,3% al 3,7%. Tutto giusto, se non fosse che il combinato disposto di queste due sole mosse porta il conto della prossima manovra economica a 25 miliardi circa. Al netto di tutto il resto s’intende, a cominciare da sanità e Mezzogiorno, quest’ultimo grande assente nel Def. Dove pensa di trovare i denari il Governo? D’accordo, un tesoretto è già stato messo da parte con l’eliminazione dell’Aiuto alla crescita economica (Ace), un’agevolazione fiscale che incentivava il reinvestimento degli utili in azienda: ma se con la destra dai e la sinistra togli, la somma resta uguale. E il resto? Per far quadrare i conti, al Tesoro non si escludono tagli di spesa, ma la loro dimensione sarà chiara solo nei prossimi mesi. Dopo che Bruxelles avrà dato le “istruzioni” sulla nuova governance europea, «sapremo anche dove andare a incidere per tagliare la spesa e trovare le risorse», ha promesso il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. Vedremo, ma i precedenti in materia di revisione della spesa non inducono all’ottimismo e un po’ più di coraggio sarebbe stato necessario. È chiaro che la mossa è tutta politica: il Governo prende tempo, evita che il dibattito possa in qualche modo interferire con le elezioni europee di giugno e confida che la nuova Commissione Ue che uscirà dal voto possa essere comprensiva. Ma su questo non è possibile avere certezze. Insomma, il Def lascia irrisolta la scelta della strada da imboccare per ripartire. E non è poco.