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Gli ayatollah rossi tengono in ostaggio le università

Opinionista: 

La storia. Questa sconosciuta. Se soltanto ci impegnassimo un po’ di più a conoscerla, potremmo forse almeno evitare di ripetere sempre gli stessi errori. Invece niente. Lo testimonia il continuo proliferare di manifestazioni sempre più violente in cui studenti, giovani ribelli, centri sociali e collettivi di sinistra vari invocano il boicottaggio di Israele, tengono in ostaggio le università, sfilano «per la Palestina» e minimizzano gli orrori di Hamas in preda a un’illusione collettiva: quella che li induce a considerare «liberatori» dei volgari e pericolosissimi terroristi islamici. È lo stesso abbaglio di cui i loro predecessori restarono vittime all’epoca della rivoluzione di Khomeini in Iran. Correva l’anno 1979 e il leader fondamentalista islamico - esattamente come accade oggi con i tagliagole di Hamas - in Occidente fu mitizzato dai marxisti che lo trasformarono nel Che Guevara del Medio Oriente. L’uomo che avrebbe liberato l’antica Persia dalla “schiavitù” americana e capitalistica. Fu così che il dittatore islamico riuscì ad instaurare un regime teocratico e sanguinario in un luogo, l’Iran, che fino ad allora era stato il più ricco e filoccidentale dell’area. Dal suo dorato esilio parigino, l’ayatollah del terrore era adorato dagli intellettuali rossi come un faro di libertà. Da JeanPaul Sartre a Simone de Beauvoir, da Gabriel García Márquez a Günter Grass gli elogi si sprecavano. Il settimanale comunista “Rinascita” ne tracciò un ritratto immaginifico sotto il titolo «Rivoluzione contro il Capitale». Senza vergogna, le femministe sinistrate di casa nostra assicuravano che sotto il tallone dei turbanti sciiti ci sarebbe stata una grande ventata di liberazione delle donne. Quell’uomo barbuto, che promuoveva una società in cui i principi del marxismo e dell’anticapitalismo s’incontravano con quelli dell’Islam, sembrava il profeta di un nuovo comunismo, libero dagli orpelli e dalle costrizioni delle burocrazie sovietiche, ma non per questo meno rivoluzionario. Come sia finita lo sanno tutti: il “liberatore” ha trasformato l’Iran in una gigantesca prigione, conculcando qualsiasi libertà, uccidendo, torturando, impiccando gli adolescenti, bastonando a morte le ragazze con le ciocche dei capelli fuori dal velo e sobillando sanguinose guerre per procura che tuttora durano. Un abbaglio collettivo che fu possibile grazie a una sinistra imbevuta d’ideologa marxista e anti-occidentale. In modo non dissimile assistiamo oggi all’illusione collettiva di chi sostiene che Hamas agisca nell’interesse del popolo palestinese, liberandolo dalla «tirannia d’Israele». E chissenefrega della realtà. Nessuno parla degli stupratori e degli squartatori di Hamas in termini di terroristi feroci e sadici, ma di forze di «resistenza» e di «liberazione». Si tratta di un giustificazionismo a senso unico, che non ha nulla a che vedere con la sacrosanta denuncia della tragedia e dell’ingiustizia dei bombardamenti criminali israeliani sui civili di Gaza usati come scudi umani dai massacratori di Allah. Il pacifismo, l’arrendevolezza, la stanca connivenza con cui un Occidente che ha perso finanche la memoria di se stesso si attovaglia con questi loschi figuri, mette i brividi. Chi non condanna questa violenza, ma anzi la sostiene con altra violenza, è complice. Mentre gli islamisti avanzano con tracotanza, secondo l’antica lezione che per vincere bisogna terrorizzare, arrivando a decapitare finanche i bambini, le nostre piazze ribollono d’ipocriti sostenitori dell’orrore, sempre pronti a nascondersi dietro la «pace» e il «cessate il fuoco» a senso unico. È per difendere questa barbarie che si assiste a continue manifestazioni in varie città italiane, in cui il massacro del 7 ottobre viene celebrato come «un tentativo di evasione dal carcere di Gaza». Nella malcelata convinzione che se vincerà il partito terrorista i palestinesi saranno più liberi e felici. La stessa certezza che avevano quelli che si adoperarono per la vittoria di Khomeini. La stessa certezza e la stessa ideologia malata.