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Il boom del Festival tra cachet e pubblicità

Opinionista: 

Gentile Direttore, stavolta voglio affrontare un argomento, per così dire “leggero”: quello del festival di Sanremo. Finalmente è terminato! La maratona di sette ore al giorno per 5 giorni, che tanto appassiona milioni di italiani ha terminato il suo “trionfale” tour, anche se saremo costretti, mentre stiamo guardando un rilassante documentario, a interruzioni, che ci riportano i pettegolezzi su chi è biondo autentico, o biondo naturale. Premetto subito che probabilmente sarò “di parte”, avendo una gran passione per la musica classica, sinfonica, melodrammatica, e, quindi, il mio giudizio è anche condizionato da un rigoroso “spegnimento” del primo canale tv, anche se, per essere al passo coi tempi, ho potuto vedere, postumo,  il “riassunto” delle serate precedenti. Non disdegno, infatti, la musica cosiddetta “leggera”, perché un bel brano accompagnato da una buona musica trasmette le stesse emozioni che può dare un’aria di Puccini, Verdi, Bellini, Rossini, e tanti altri. Le musiche di Battisti, Baglioni, Modugno, Mina, Vanoni hanno accompagnato la mia giovinezza e le prime emozioni sentimentali. Un posto a parte, per le “classiche” napoletane, vere poesie e vera musica! Tuttavia, ben raramente Sanremo ha consegnato alla celebrità canzoni classificate ai primi posti. Non lo fu per “Ragazzo della via Gluck” di Celentano che non superò nemmeno la fase successiva del concorso canoro, né per la bellissima “Piazza Grande” di Dalla che arrivò ottava. Lucio Battisti, che con il grande Mogol compose “Non sarà un’avventura”, non partecipò più al Festival, quando vide la sua canzone relegata al nono posto. E che dire della splendida e sfortunata Mia Martini che con “Almeno tu nell’Universo” si classificò nona anche lei! L’unica eccezione è stata  nel 1958, quando Modugno portò a Sanremo l’immortale “Nel blu dipinto di Blu”, classificatasi prima! Non così per tantissimi altri brani, oggi ancora cantati, ma relegati nei bassifondi delle classifiche sanremesi, dove evidentemente le giurie “obbediscono” più alle esigenze delle case discografiche, che al merito. Negli ultimi anni, poi , il Festival si è ancora di più snaturato dalla sua vocazione che doveva privilegiare la musica e i testi delle canzoni, diventando, invece, una specie di “Circo Barnum”, dove si fa a gara a chi fa più rumore con le apparizioni che diano “scandalo” per il vestire o il modo artefatto di approcciarsi goffamente al palcoscenico. Il “bacio in bocca” riappacificatore tra Fiorello e Tiziano Ferro è stato a metà tra la farsa e l’inopportunità, data la fascia oraria della trasmissione. In periodi in cui il pensionato è considerato “ricco“ se supera i 4mila euro al mese, i conduttori guadagnano milioni di euro, gli ospiti vanno da 300mila euro in su; le cosiddette “ospitate” magari anche di “ancienne etè” costano centinaia di migliaia di euro. A tanto aggiungasi che l’esercito sterminato degli “invitati”, sistemati ai primi posti del Teatro, tutti “parenti e amici“ dei dirigenti Rai, ha goduto dello spettacolo sulla nostra “pelle”, perché esenti dal pagamento del biglietto, il cui mancato introito va a carico del contribuente che paga il canone! Ma gli organizzatori e i dirigenti Rai bollano come “demagogica” questa valutazione, perché non si fa un’analisi costi-benefici! Pare, infatti, che il costo complessivo del Festival si aggiri sui 18 milioni di euro, ma il ricavo supererà i 30 milioni. Un bilancio più che positivo, dunque, per la Tv di Stato alimentata soprattutto dal nostro canone. Ma qui sta l’inganno. I maggiori introiti derivano dalla pubblicità (30 secondi di “passaggio pubblicitario” superano i 400mila euro!), versata dalle società private (la Tim e la Nutella l’hanno fatta da padrone), e, quindi, senza gravare di nessun altro balzello sulle spalle  dei cittadini, si dice. Errore: secondo voi, chi pagherà il “surplus” della pubblicità che le aziende private versano alla Rai nelle serate del Festival? Ma il consumatore finale, naturalmente! Cioè, il cittadino! I prezzi di mercato dei prodotti che compriamo sono inclusivi anche della pubblicità che le case produttrici versano. Insomma, se si fa una riflessione nemmeno tanto approfondita, noi utenti non solo paghiamo un canone obbligatorio per il solo fatto di possedere un televisore, anche se non vediamo i canali della Tv di Stato, ma paghiamo anche una “ tassa occulta”, legata alla pubblicità che la televisione pubblica fa pagare alle case produttrici di qualsivoglia merce o servizi. Mi fanno ridere (ed anche rabbia) i conduttori dei talk show della Tv pubblica quando giustificano i loro milionari cachet con i ricavi che i loro seguìti spettacoli fanno derivare dalla pubblicità: li paghiamo sempre noi cittadini, direttamente con il canone obbligatorio, indirettamente pagando la propaganda sulla merce della spesa quotidiana o extra. Non parliamo allora di “Servizio Pubblico” della Rai, ma al pari delle altre tv commerciali di “ Servizio Privato”, dato che ormai la pubblicità la fa da padrona. In Spagna, Belgio, Bulgaria, Olanda, Ungheria, Lussemburgo il canone non si paga, e laddove si paga, come in Inghilterra o in Francia, molte fasce sono esentate, come ad esempio i superiori a 75 anni d’età, o la pubblicità non è consentita dopo le 20. Ma noi siamo l’Italia! Felici di versare il canone annuale e la tassa occulta della pubblicità. In compenso abbiamo… Sanremo con gli exploit di gambe scoperte fino all’inguine e la farfallina tatuata, le improbabili vere cadute dalle scale e i… baci in bocca di due ex “litiganti”.