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Il caso della “Gregoretti” tra Giurisdizione e Governo

Opinionista: 

Si ha più di un’impressione che il retaggio della stagione di Mani Pulite continui a condizionare non poco i rapporti tra politica e magistratura. Nel senso che quell’attitudine particolarmente spiccata in Italia – e ben nota agli Stati autoritari – degli organi della giurisdizione ad ingerirsi molto attivamente nelle decisioni della politica, sembra non dare alcun cenno di stanchezza. L’ultima vicenda è quella delle decisioni prese dal Governo italiano – perché come tali e non del solo senatore Salvini, almeno all’epoca, si presentavano – tra il 25 ed il 31 luglio dello scorso anno. Con esse ci si determinò ad impedire (meglio: ritardare) lo sbarco degli immigrati presenti sulla nave Gregoretti: per quel che posso giudicarne, ci troviamo dinanzi ad un’altra occasione mancata dalla magistratura italiana per segnare un sano confine tra i suoi compiti e quelli della sovranità politica. Ma non è stato così. A cominciare dal visibile stress al quale è stata all’uopo sottoposta la fattispecie del sequestro di persona, disciplinata dall’art. 605 del codice penale. Non c’è dubbio che ogni espressione linguistica si presti alle più varie interpretazioni e fraintendimenti: altrimenti non sarebbe un’espressione linguistica. Ma il reato in questione richiede per lo meno la privazione della libertà personale: arduo riconoscere una tale condotta in chi vieta ad una nave l’attracco, non certo di far rotta verso altri porti. Si dovrebbe almeno dimostrare che per quel naviglio non vi fossero alternative rispetto ad entrare nel porto di Augusta; difficile dimostrazione. Nulla però dev’essere impossibile, in un’aula di giustizia. La persistenza di questo attivismo giudiziario a me sembra dovuta a cause abbastanza precise. Un Parlamento che si rispetti, dinanzi ad una contestazione del genere, non esiterebbe. La decisione del ministro dell’epoca, Salvini appunto, era una decisione puntualmente iscritta nel programma di governo, inteso a tutelare – giusta o sbagliata che la cosa venga giudicata secondo proprio criterio – il territorio italiano dal fenomeno dell’immigrazione abusiva. Programma rispetto al quale era stata anche votata la fiducia al sessantacinquesimo Governo repubblicano. Ora, che si possa sottoporre a criterio di valutazione giurisdizionale una scelta così squisitamente caratterizzata da contenuti politici, e cioè dall’obiettivo di assicurare il fine della protezione territoriale mediante ordini impartiti alle forze di polizia, è questione che sempre il criterio politico, al quale non a caso è affidata la decisione in materia, dovrebbe respingere senza esitazione. A meno che – e non è un gioco di criteri – non s’intenda strumentalizzare la funzione giurisdizionale per impiegarne l’azione a finalità di lotta politica. Che è cosa differente dalla copertura politica dell’azione di Governo. Mi rendo conto che la cosa possa risultare un po’ contorta: ma in una repubblica funzionante si distingue molto bene la Giurisdizione dal Governo ed il Governo dalla lotta tra i partiti o tra singoli esponenti dei partiti: perché Giurisdizione e Governo sono istituzioni dello Stato alle quali deve essere garantita stabilità e margini sicuri di azione, se si vuole che la comunità resti protetta; i partiti sono invece luoghi di formazione delle progettualità e di selezione del personale che dovrà poi dare corpo e contenuti ai rispettivi programmi, competendo per sedere nelle istituzioni, le cui norme però andranno comunque rispettate. Sono queste regole della cosiddetta grammatica della politica che andrebbero religiosamente rispettate, se non si vuole che tutto venga giù. Ed invece, da noi, s’è creato un contesto dall’elevato, scomposto ed interminabile conflitto, dov’è impossibile alcuna forma di stabilità e del quale anche la Giurisdizione partecipa, essendo essa istituzione tra istituzioni mal funzionanti. Cosicché – avvertendosi per ogni dove l’ampio degrado su descritto – non è difficile intendere perché i confini si sfrangino, dato che essi assumono le conformazioni suggerite dalle convenienze del momento ad interpreti altrettanto momentanei. E si è oggi giunti alla situazione, francamente grottesca, che sulla vicenda il Presidente del Consiglio dei ministri arrivi a dire che il suo ministro dell’Interno pro tempore abbia sulla nave Gregoretti agito in perfetta solitudine, senza nemmeno avvisarlo né concordare linee. Se la memoria non mi falla campeggia tutt’oggi nella nostra Costituzione un articolo che risponde al numero 95 di sequenza, in base al quale il Presidente del Consiglio dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile, mantenendo l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, nonché coordinando l’attività dei ministri. Qui non si sta discettando della nomina d’un capo divisione ministeriale; si sta parlando d’una scelta che ha impegnato seriamente l’intero Governo. E che razza di primo ministro è quello nemmeno in grado d’intervenire su una cosa tanto rilevante, se effettivamente non la condivide? Un primo ministro sui generis, che risponde al nome di Giuseppe Conte.