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Il Governo di “Giuseppi” sulla via del tramonto

Opinionista: 

I sondaggisti che “misurano” con termometri speciali gli umori dei cittadini-elettori, sono largamente concordi: la coalizione che ha in mano Palazzo Chigi si sta sfaldando. I partiti che la compongono hanno più motivi per tornare ciascuno a casa propria, che per stare insieme. Non c’è “contratto” che tenga quando l’unico collante è la paura delle elezioni e il dimagrimento delle proprie rappresentanze parlamentari. I problemi non risolti (prescrizione processi, concessioni autostradali, vertenze Alitalia e Ilva) sono come quei nodi che fatalmente tornano sempre al pettine. Il premier Conte (in carica dal 1 giugno 2018 con un Governo giallo-verde e dal settembre 2019 con uno giallo-rosso) sembra che abbia già cominciato a fare i conti alla rovescia. S’appoggia, per un po’ di conforto, al discorso di fine d’anno del presidente Sergio Mattarella, ma avverte che gli manca di giorno in giorno il terreno sotto i piedi. Stare a Palazzo Chigi per tutta la legislatura (fino al 2023) appare una visione trasognante, un’idea abbastanza patetica.

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Nubi minacciose. ”Giuseppi” (come affettuosamente, o per puro cambio di vocale, il mega presidente Trump chiamò per nome il premier italiano), scende velocemente nei sondaggi (non quelli presi singolarmente, ma della supermedia). Da poche settimane in qua passa dal 60 per cento di gradimento a sotto il 45 per cento, tallonato - quel che è peggio per lui - dall’acerrimo nemico Matteo Salvini. Tra i due è più di un duello rusticano: è questione di vita o di morte (politica s’intende!). La vicenda della nave Gregoretti (131 migranti “consegnati” a bordo per 5 giorni) comunque vada avrà conseguenze diverse per i due. Se Salvini sarà processato, troverà lui le ragioni (se ci sono) per dimostrare che non ha agito con un colpo di testa per impulso e abuso di potere. Ma come potrà sostenere, il premier, di non aver saputo niente di tutto quello che accadeva in quel porto siciliano di Augusta? Era lui il presidente del Consiglio o un extra terrestre al posto suo? E se vedeva che il leghista ministro dell’Interno sbagliava, perché non ha fatto valere i poteri che Costituzione e Parlamento gli assegnano? Mettiamo: Salvini processato e condannato. Quale sarà la reazione degli italiani? Uno ha alle spalle una Lega che da bossiano-padana è diventata nazionale e da tempo lo vuole premier. Conte? Quale sostegno o solidarietà gli può venire da un M5S che sta franando e perde pezzi alla Camera e al Senato?

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Mani avanti. È il gesto che compie Conte quando avverte i crescenti scricchiolii e dice: “Alla fine di questo mandato non lascio la politica. Non farò come Cincinnato, ma non fonderò un altro partito” (proposito lodevole vista la frantumazione di oggi e la nascita di partitini personali che non vanno oltre chi li promuove in barba al fondamentale principio della rappresentatività). “Non vedo un futuro senza politica” (e anche qui il ragionamento non fa una grinza, ma sempre che la politica non diventi il campo di chi ne ha un dannato bisogno per sopravvivere ed essere, se non “qualcuno”, almeno “qualcosa”). Al premier proposto dai pentastellati (con il cuore che però batte verso il Pd zingarettiano e alla larga da Matteo Renzi) molti raccomandano di essere consapevole della “crisi di sistema” che il Paese sta correndo. Enzo Scotti, in origine ispiratore dei Cinque Stelle, gli ricorda il 1992 quale passaggio traumatico nella storia della Repubblica. “Dopo il crollo del muro di Berlino e i primi effetti di Maastricht, Craxi spingeva per la grande riforma e De Mita no. La prima Repubblica crollò in pochi mesi”. Scotti - è stato anche ministro degli Esteri - ritiene di poter interpretare, ora, “la forte preoccupazione” del Quirinale.

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Di Maio a chi l’ha visto. Curioso (no?) che bisogna rivolgersi alla fortunata trasmissione tv di Federica Sciarelli per sapere che fine ha fatto l’autorevole ministro degli Esteri. Sùbito si è pensato che era naturale cercarlo alla Farnesina, grande osservatorio di tutto ciò che accade nel mondo. Ma qui fin dal primo usciere sembrava che tutti cantassero “Luna rossa” nella parte che dice “ca’ nun ci sta nisciuno”. E allora il “genio politico pomiglianese” dov’era? Non certo a fermare il “bombarolo” presidente americano che ce l’ha a morte con l’Iran, né a bloccare la Turchia che vuole intromettersi nello scontro fra la Libia di Tripoli “bel suol d’amore” e quella Cirenaica di Bengasi e Tobruch. Era impegnato in una missione di “vitale importanza” per il Movimento nato con il Vaffa di Grillo: fermare l’emorragia dei militanti che non vogliono militare più e non intendono versare, al “capo politico”, soldi che non sanno quale fine fanno (piattaforma Rousseau?).

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Missione fin qui fallimentare. Dimissionario con strascico polemico il ministro Lorenzo Fioramonti; via per espulsione Gianluigi Paragone dagli accenti troppo critici (definito però da Alessandro Di Battista “più grillino di tanti che si professano tali”). Il pensiero va a un numero: quanti erano i parlamentari (112 al Senato e 227 alla Camera) inventati dal “vaffa” del Beppe giullare. Verrebbe da ricordare il Luigi Mercantini di “Eran trecento, eran giovani e forti…”. Tralasciamo il resto perché non si vuole la morte di nessuno e per rispetto della vicenda eroica che “La spigolatrice di Sapri” richiama. Povero e derelitto Luigi Di Maio: non sono bastati, a tenerlo a galla, gli apprezzamenti che ebbe a suo tempo (“un giovane fuoriclasse”) da Domenico De Masi, adesso “sociologo pentito” che si cosparge il capo di cenere.