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La repubblica giudiziaria affonda anche la crescita

Opinionista: 

Un gran casino. Un bordello nel quale le cose importanti sono destinate a perdersi. La politica continua ad apparire un balletto inconcludente ma molto rumoroso di annunci e polemiche. Ogni giorno ce n’è una nuova, una provocazione diversa, una rinnovata ragione per accapigliarsi in tv, fare uno show sui social e poi spacciare tutto ciò per governare o opporsi a chi governa. Mentre questo manicomio organizzato a uso dei gonzi gira senza sosta e va avanti da sé, come il famoso carrozzone cantato da Renato Zero, restano indietro e finiscono nel dimenticatoio le cose importanti. Quelle che almeno potenzialmente potrebbero cambiare gli equilibri. Il caso più clamoroso è costituito dalla giustizia. Promessa, ripromessa e poi nuovamente annunciata e rilanciata, la riforma attende ancora di essere messa almeno nero su bianco. L’ultima volta che se n’è parlato in maniera più o meno seria è stato oltre un mese fa, quando l’Esecutivo aveva assicurato che il disegno di legge per separare le carriere dei magistrati requirenti e giudicanti almeno quello sarebbe arrivato «al più tardi la settimana dopo Pasqua». Solo che Pasqua è arrivata ed è anche passata, così come la settimana successiva, ma di quel testo ancora non c’è traccia. E sarebbe solo una piccola parte di ciò che è necessario fare, visto che di altre cosucce tipo l’abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale, la responsabilità civile dei magistrati o la riforma del Csm per porre fine all’intreccio tra politica e magistratura neanche si parla. Eppure siamo al minimo sindacale, elementi essenziali senza i quali resta solo l’inciviltà di un potere che può toglierti la libertà senza averti mai processato e poi non risponderne in nessuna sede. In compenso facciamo ammuina attorno a un inutilissimo test psico-attitudinale, del tutto irrilevante, che nulla aggiungerebbe né toglierebbe a quel disastro che ci ostiniamo a chiamare giustizia. Nel frattempo le elezioni europee si avvicinano e puntuali spuntano come funghi inchieste su politici di sinistra e destra, magari sulla base di elementi non proprio recenti. Il tutto, mentre siamo in trepidante attesa di capire che fine farà la famosa indagine sullo scandalo dossieraggio: doveva essere un potenziale attentato alla democrazia, si spera non sia l’ennesimo complotto da operetta con annessa conclusione a tarallucci e vino. Senza una seria e radicale riforma della giustizia tutti i proclami sul decantato «ritorno della politica» sono destinati a rimanere vuoti slogan. Il 18 maggio prossimo saranno 36 anni dalla morte di Enzo Tortora. Sono tanti e sono passati inutilmente. Perché quando una vicenda giudiziaria come quella non insegna nulla e non provoca modifiche profonde all’apparato che l’ha generata, vuol dire che ad essere malato è l’intero sistema. Per questo, se davvero la politica intende assumere nuovamente e pienamente su di sé la responsabilità del governo della società, occorre un nuovo equilibro col potere giudiziario. La faccenda è anche economica, visto che uno dei virus dell’Italia è aver trasformato l’immobilismo nell’unica forma di legalità autorizzata. Finanche i commissari nominati per particolari emergenze, nonostante gli ampi poteri di cui solitamente dispongono, pretendono uno scudo giudiziario che li metta al riparo dal principio incostituzionale della presunzione di colpevolezza. La corruzione va snidata, ci mancherebbe altro, ma questo non può tradursi nel blocco del sistema. Ecco perché la riforma sarebbe una spinta anche per la crescita. E non bastano piccole modifiche a macchia di leopardo come fatto finora, né leggi che già si annunciano annacquate in nome «della maggiore condivisione possibile»: serve un segnale forte. Un cambiamento radicale. Per farlo occorre qualcuno che se ne assuma la responsabilità. Va tirato fuori il coraggio di affrontare lo scontro per restaurare l’equilibrio fra i poteri. Solo così potremo ripristinare la credibilità della giustizia, che è il primo passo per tornare a farla funzionare. I temerari si facciano avanti.