Accessibilità:
-A A +A
Print Friendly, PDF & Email

Le psicosi della politica

Opinionista: 

 
Sarà capitato anche a voi, amici lettori, quello che succede a me da qualche tempo leggendo le notizie di cronaca. Di esclamare, cioè, “Ma chiste so’ pazze!”. Attenzione, io non mi riferisco a parricidi, matricidi, uxoricidi e figlicidi, sia pure con modalità efferate, come ne commettono con una certa frequenza da qualche anno in qua; in questi casi io non immagino follia ma cattiveria e tentazione diabolica. Mi riferisco invece alle notizie di politica internazionale, nazionale e locale.

Prendiamo ad esempio l’Onu, questa inutile e costosissima istituzione internazionale che, a momenti, fa rimpiangere la morta e seppellita Società delle Nazioni. La custode della pace nel mondo è stata allertata sulla crisi libica dall’Egitto e, addirittura, da quel governo che, pur controllando una minima parte del territorio, è l’unico riconosciuto al Palazzo di Vetro come legittimo rappresentante della Libia. Ebbene, essa ha respinto la richiesta d’intervento militare, deliberando che occorre seguire la strada delle trattative diplomatiche. Sembra proprio uno di quei casi di schizofrenia in cui il malato si guarda l’ombelico, ignorando completamente la realtà che lo circonda. Ma non hanno già mandato da tempo un tizio che gira da una tribù all’altra per giungere a un governo di coalizione e viene regolarmente preso a pesci in faccia? Come dite? No, non mi sembra un caso di dislessia, quel malanno infantile per cui il soggetto non riesce a elaborare e riconoscere le immagini e quindi non capisce quel che vede: l’Onu è adulta, per cui potremmo, semmai, dirla “‘nzallanuta”. Piuttosto, forse, potrebbe trattarsi di uno di quei disturbi, molto comuni nei soggetti di diritto pubblico, per cui il paziente “addó véde e addó cèca”.
Prendiamo un altro caso, quello del prezzemolino toscano che bivacca in tutti i canali televisivi, in attesa che il Capo dello Stato desista dall’ostacolare il suo disegno di impadronirsi dell’universa emittente. Costui non ha ancor deciso se il suo modello sia Alessandro Magno, Napoleone o Carlo V (no, scusate, Carlo V va scartato perché rinunziò spontaneamente al potere, cosa che il Nostro non riesce neanche lontanamente a immaginare); nei momenti di modestia si riconosce in Cavour (quello della guerra di Crimea) o in Mussolini (quello del bivacco dei manipoli) e in quelli di depressione si accontenta dall’accostamento all’ex cavaliere. Qua non di schizofrenia, ma di paranoia si potrebbe trattare. Ad ogni modo, volendolo accostare razionalmente a uno dei suoi predecessori, io sceglierei Giolitti: è vero che se ne differenzia, fra l’altro, per non volere la guerra di Libia, ma sembra avere imparato molto bene la lezione sull’acquisto dei parlamentari (anche se la Procura di Napoli non vuol riconoscergli tale maestria, ritenuta esclusiva dell’ex cavaliere, e non intende ammettere che, come Giotto Cimabue, l’allievo ha superato il maestro). In ogni modo, qualcuno dovrebbe spiegarmi perché il più grande statista di tutti i tempi ha deciso di riformare tutto, ma proprio tutto, e nulla fa per uscire da questa crisi che ci ha spedito tutti col culo nell’acqua.
Riduciamo lo zoom e mettiamo a fuoco il panorama della città più bella del mondo. Qui riusciamo a vedere un personaggio che ha qualcosa di don Chisciotte, anche se il suo sogno non è il Graal né Dulcinea del Toboso. A cosa vi fa pensare uno che si batte per tenere il teatro napoletano fuori dei grandi circuiti, osteggiando (senza molto successo, in verità) qualsiasi personaggio dotato di capacità manageriali, nel tempo stesso che non vede la città crollare intorno a lui? Eppure il pericolo costituito dai tunnel della Circumflegrea era noto da decenni (e allora, forse, anche Bassolino e Iervolino potevano farci caso), ma il disastro era annunciato da un anno. Un anno fa, mi sembra, c’era già lui al posto di comando e avrebbe dovuto occuparsene. Ah, già! Era troppo impegnato con regate, concerti e biciclettine da disegnare sull’asfalto. Sì, avete ragione, l’eroe di Cervantes è troppo grande perché si possa instaurare un paragone. Queste che oggi noi viviamo sono scene tipiche del teatro di Ionesco, i cui protagonisti non riescono a vedere e comprendere quel che accade intorno a loro: ricordate i due coniugi che, in “Delirio a due”, continuano a litigare per un motivo d’impareggiabile futilità mentre le mura della stanza crollano intorno a loro?
Non c’è che dire. Avevano ragione quelli che sostenevano essere i pazzi non dentro i manicomi, ma fuori. Cosa ancor più vera dopo l’incauta riforma ideologica che ha cancellato i manicomi.
Pietro Lignola