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L’India va divisa al voto ma sfrutta Usa e Brics

Opinionista: 

La giornata elettorale in India dura una mezza stagione: 44 giorni, dal 19 aprile al primo giugno, pausa di tre, lo spoglio. Un mese e mezzo per permettere a circa 968 milioni di elettori – su un miliardo e 400 milioni di cittadini di recarsi alle urne dopo essersi registrati e col sistema uninominale secco rinnovare la Casa del popolo,cioè la Camera bassa, che conta 545 membri e cui deve dar conto l’esecutivo. La democrazia, meglio dire una delle forme di democrazia, nel più popoloso Stato del pianeta. Un primato che rappresenta anche la migliore eredità del colonialismo occidentale britannico, e non soltanto nel continente indiano. Il Paese mostra due volti che si rifletteranno nuovamente nelle urne. Una divisione economica, culturale, sociale e politica tra settentrione e meridione. Solo per semplificare: all’italiana ma all’incontrario. Il nord agricolo più arretrato e arcaico. Il sud più aperto ai commerci e alla modernità. Il nord, barriera storica dell’induismo contro il dilagare dell’islamismo verso l’Asia. Il sud a contendere alla Cina sviluppo industriale e post-industriale, ricerca, conoscenze rivolte al futuro. Il nord tradizionalista e nazionalista, sensibile nell’avversione verso Pakistan e Cina, pilastro del partito Bharatiya janata party (Bjp) del premier Narendra Modi, accusato di velleità autoritarie: è al potere esattamente da un decennio e dovrebbe facilmente ottenere un terzo mandato. Il sud dove resiste l’ultimo bastione liberale e socialdemocratico dell’Indian national congress, il Congress dei Gandhi, che finora ha resistito al governo nei cinque Stati meridionali della federazione (che ne conta ben 28, oltre a 7 Territori). Il Bjp arriva al voto con oltre 300 parlamentari, il Congress con 52. Ma il sud, che contiene appena un quinto della popolazione, produce più di un terzo del Pil. E protesta perché il governo distribuisce al nord una parte eccessiva della sua ricchezza e una grossa fetta per motivi elettorali. Modi si giustifica affermando che è localizzata in massima parte al nord la disoccupazione giovanile, che in India oltrepassa la soglia del 45%.Resta che la distanza tra ricchi e poveri è molto ampia, come la corruzione che si accompagna all’aggressività contro gli esponenti delle forze politiche di minoranza. Non a caso, ha avuto una vasta eco internazionale la denuncia del ‘Financial times’ della – sintetizzo -“cattiva salute della democrazia indiana per l’aumento della repressione nei confronti dell’opposizione”. Diversità economica e scontro politico ma all’interno di una sola direttrice, per di più duplice (in Italia ricorreremmo alle morotee “convergenze parallele”): da un lato, sfruttare gli investimenti che l’Occidente ritira dalla Cina inaugurando nuovi impianti industriali e aprendo vieppiù al mondo università e centri di ricerca e, dall’altro, sfruttare una ormai storica neutralità che permette di tenere un piede in Europa e negli Usa e l’altro nel Brics (l’aggregazione geoeconomica, in ampliamento, tra Brasile, Russia, appunto India, Cina e Sudafrica). Ricevere, ad esempio, energia e armamenti dalla Russia; tenere un tavolo negoziale sempre aperto tra New Delhi e Pechino di là dal contenzioso territoriale; condividere con gli Usa e l’Ue produzioni e cooperazione scientifica, negli ultimi tempi segnatamente sull’IA. Se l’obiettivo di Xi Jinping è rendere la Cina la terza superpotenza militare nel 2030, questa stessa data rappresenta pure per Modi un traguardo: l’India terza superpotenza economica del mondo. Un obiettivo che presume di poter raggiungere sfruttando sia l’interesse di Usa ed Ue ad impedire l’abbraccio di New Delhi con Pechino e Mosca, sia il timore cinese e russo che l’India abbandoni la sua storica neutralità puntando anche a un ruolo geostrategico favorito da americani ed europei. Elezioni, insomma, tanto lunghe quanto ricche di complesse e incerte prospettive per il resto del pianeta. Elezioni che offrono persino qualche spunto di… eccentricità: riuscirà a conservare il potere nello Stato del Kerala l’ultimo Partito comunista d’ispirazione (in origine) maoista del pianeta? Il Kerala tollerante, pluralista, multiculturale e multinazionale, col più alto livello di alfabetizzazione e il più basso di corruzione, dove si alternano al comando comunisti e Congress. Edove cinque anni fa le donne conquistarono per un giorno l’ultima piazzaforte dell’Induismo maschilista, il tempio di Sabarimala.