Accessibilità:
-A A +A
Print Friendly, PDF & Email

L’insopportabile censura dei social

Opinionista: 

Cari amici lettori, non passa giorno senza che l’ipocrita di turno richiami i “valori della Costituzione”. Molte espressioni della saggezza popolare hanno bollato queste prediche farisaiche, dal moderato “tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare” all’ecclesiale “fate quello che dico, non quello che faccio io”. Come vi ripetono sempre, questa è una “repubblica democratica”. Sovrano è il popolo, che, però, è meglio stia zitto e fermo altrimenti, come i bambini piccoli o il cane di casa, chissà che guai combina. L’art. 21 della Costituzione proclama, al primo comma, che “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. L’ultimo comma dello stesso articolo pone un solo preciso limite a questa libertà, vietando le “manifestazioni contrarie al buon costume”. Mi sorge il dubbio che quest’ultimo comma sia stato abrogato, non so se espressamente o tacitamente. Quest’ultima ipotesi è molto più verosimile perché, anche se non è possibile seguire il vorticoso impazzamento delle nuove leggi, una tale abrogazione non poteva passare inosservata. La blasfemia, tuttavia, impera. Le ultime manifestazioni sono state il poster “Immacolata Con(trac)cezione” pubblicato per una festa dell’8 dicembre u.s. dai collettivi dell’Alma Mater Studiorum di Bologna, e il quadro “Ecce homo”, esposto dal Museo comunale di Roma sotto l’egida dell’assessorato capitolino. Gravissimo quest’ultimo episodio, ove il Redentore è presentato come un pedofilo, che “arrizza” mentre poggia la mano sul capo di un bambino in preghiera. La cristianofobia è tollerata, perché propria di una certa “cultura” di sinistra la quale, ovviamente, si guarda bene dall’esprimere analoghe porcate contro la religione di Maometto. Anche il primo comma, però, deve essere stato tacitamente abrogato per un’evoluzione di tipo sovietico. Altrimenti la forza pubblica sarebbe tempestivamente intervenuta in quel di Bologna, quando una ventina di giovani ha formato un cordone sanitario rosso per impedire ai cittadini di accostarsi a un banchetto dei sostenitori della candidata di centrodestra alla presidenza regionale. Il limite del buon costume è stato, ovviamente, sostituito da quello della “politically correctness”. Io stesso, questa settimana, sono rimasto vittima della censura nel mondo dei “social”. Io sono attivo su Facebook, su “Quora” e su altre strutture mediatiche. “Quora” è una piattaforma dove gli utenti possono pubblicare domande e risposte su qualunque argomento: io, non so come, mi sono trovato arruolato, da un annetto a questa parte, fra quelli che rispondono. Quando “Quora” ritiene che una risposta sia interessante, suggerisce di pubblicarla su Facebook o su Twitter, fornendo un modulo di condivisione. Bene, anzi male. Da giovedì scorso, tutte e quattro le volte che ho accettato la condivisione, Facebook mi ha immediatamente rifiutato i testi con la dicitura: “Non è stato possibile inviare il tuo messaggio per la presenza di contenuti segnalati come offensivi da altri utenti di Facebook”. La cosa più divertente (se così si può dire) è che nella prima risposta avevo così scribacchiato: «Fortunatamente in Italia non ci siamo ancora arrivati, ma ci manca poco. La censura è in continuo sviluppo e così la violenza (per fortuna ancora quasi sempre verbale) contro chi cade nel “politically uncorrect”, ossia dice la verità». Sembra quasi che abbiano hanno voluto informarmi che mi sbagliavo e che, invece, eravamo già arrivati alla società orwelliana da me evocata. Le altre risposte avevano a oggetto Fabrizio De André, la birra e Hillary Clinton. La domanda su Hillary Clinton era: “Cosa pensi che succederebbe se Hillary Clinton fosse presidente?”. La mia risposta lapidaria: “Tre o quattro guerre”. In nessun post, ovviamente, c’era traccia d’insulti, parolacce o manifestazioni di omofobia, islamofobia, sessismo o razzismo. Debbo dire, onestamente, che di questa censura, personalmente, non me ne frega granché. Oltretutto, dopo che due amici avevano pubblicato anche sul mio sito le prime tre risposte, io stesso ho copiato da “Quora” e incollato su Facebook la quarta. Ma il fatto è di eccezionale gravità da un punto di vista sociale e per questo ho avviato iniziative politiche, giudiziarie e giornalistiche. Non è accettabile che un cittadino, solo perché inviso a qualche farabutto di sinistra che si ritiene offeso persino dalle leggende sulla nascita della birra (ovviamente non è veramente offeso, è solo farabutto), sia privato del diritto costituzionale espressamente garantitogli dall’articolo ventuno. Se questa è la democrazia, meglio un altro sistema qualsiasi. Ma, in tutta onestà, anche se non credo alla superiorità del sistema democratico, non credo che la democrazia sia questa. Questi sono, più che altro, residui delle ideologie di Stalin, Pol Pot, Mao Tse Tung e simili mostri.