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L’Italia operosa dei muretti a secco

Opinionista: 

Costruiti con la pazienza e con le pietre, una sull’altra, prima rimosse dalla terra e poi accuratamente raccolte, con un’attenta pratica ancestrale per creare con semplicità acconci recinti, sorretti da un’elementare geometria: sono i muretti a secco, nati dalla magia della pietra, dalla laboriosa fatica dei contadini, dalla forza e dall’orgoglio di un cantiere familiare a cielo aperto. Testimoni di una civiltà rurale assai lontana ma forse ancora utile a questo Paese se il Censis, nel suo annuale rapporto, li ha indicati come simbolo di un’Italia, operosa e spesso invisibile, che ogni giorno mette in campo progetti ed iniziative per frenare lo sgretolamento della comunità nazionale. È la fitta rete di imprese innovative nei quali migliaia di giovani tentano una nuova esperienza imprenditoriale, in un contesto finanziario e amministrativo generalmente povero, dove però una buona intuizione può diventare una buona impresa. Sono i tanti festival, le sagre, gli eventi culturali di ogni genere che affermano l’identità di una comunità locale e creano un’ occasione economica per l’attrazione turistica, un luogo di elaborazione di prospettive e di confronto intellettuale, spazi per la tecnologia, la ricerca, l’innovazione, l’educazione. Sono alcuni segmenti produttivi capaci di resistere alla crisi con la sapienza artigianale applicata su scala industriale. Dunque anche l’Italia post-moderna, per risollevarsi, ha bisogno di tornare a sfogliare lo scarno dizionario della civiltà dei padri, riscoprendo parole e virtù come la pazienza, la perseveranza, il sacrificio, la cultura del lavoro, l'amore per il creato, il rispetto per l'ordine naturale, l'attenzione al bello, il senso del dovere, la capacità di seminare, di creare legami di fratellanza e solidarietà in un tempo “liquido” come altri mai. Grazie all’analisi del Censis potrebbe dunque di nuovo farsi strada la consapevolezza che, anche in Italia, l’uomo contemporaneo ha archiviato troppo in fretta i conti con il proprio passato per accorgersi che il mondo contadino era ed è depositario di una cultura millenaria che non doveva andare dispersa. Senza voler “mitizzare” quella società, senza alcuna assoluzione per i suoi evidenti “vizi” e le sue tante “chiusure” e senza alcun elogio per la povertà , va detto che quella era una cultura che puntava naturalmente sulla conservazione, credeva nel riutilizzo, amava ritrovare tutto, non gettava via nulla, un po' per necessità, per cultura, per educazione, per intuito e per quel meraviglioso senso pratico delle cose che accompagnava la fatica di gente abituata a lavorare in silenzio. La cultura della legalità era legata al buon senso dei genitori, alla saggezza dei vecchi. Era la cultura dell’educazione familiare, nata e cresciuta nel rispetto, nella volontà di compiere buone azioni, di migliorare giorno dopo giorno la qualità della vita, di vivere bene, di fare “i figli cristiani” come ripetevano i padri per significare il senso profondo della missione delle loro vite. Si agiva nella naturale convinzione di valori che diventavano patrimoni di tutti, con poche regole, ma largamente amate e rispettate. Insomma un Paese fragile come l'Italia si salva cominciando a rimettere in piedi i sassi che da sempre tengono tutto insieme. Come insegnavano i “costituenti” della nostra civiltà contadina e i loro i nostri muretti a secco che abbracciavano ulivi secolari, viti, fichi d’india, carrubi e mandorli. Proprio un anno fa l’Unesco ha iscritto l’arte dei muretti a secco nella lista degli elementi immateriali dichiarati "Patrimonio dell'umanità" in quanto rappresentano "una relazione armoniosa fra l'uomo e la natura". Il rapporto Censis ci ricorda che gli artigiani di quelle colonne portanti della nostra civiltà, hanno urgente bisogno di trovare eredi in un Paese chiamato di nuovo a rimboccarsi le maniche per continuare a credere in sé stesso e nel suo futuro.