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Premierato, la governabilità che rafforza la democrazia

Opinionista: 

Il dado è tratto. Dopo le parole pronunciate in tv da Giorgia Meloni non è più lecito avere dubbi: sul premierato la presidente del Consiglio è intenzionata ad andare fino in fondo. Anche a costo di nuove rinunce, dopo quella al presidenzialismo. Al punto da aprire anche all’ipotesi di un ballottaggio, se nessuno dei primi due candidati premier dovesse raggiungere almeno il 40% dei voti. La legge elettorale a due turni storicamente ha sempre visto contrario il centrodestra. La ragione è nota: favorisce il coagulo di chi, più che a favore di un proprio programma comune, è contro il progetto dell’avversario. Dunque è la legge da sempre preferita dal centrosinistra rissoso e diviso, che così potrebbe contarsi nel primo turno e unire le forze nel secondo contro il candidato del centrodestra che, al contrario, avrebbe già fatto il pieno dei voti alla prima tornata. Come mai a destra è caduto questo tabù? Meloni lo ha spiegato in maniera chiara: «Per me l’importante è portare in porto questa riforma che considero l’eredità che lascio agli italiani». Insomma, l’elezione diretta del premier come testamento politico di una leader con lo sguardo lungo. Questa volontà di ammodernare finalmente le nostre istituzioni è un’occasione troppo grande per essere sprecata. Ecco perché non si spiega, se non col pregiudizio, l’opposizione della sinistra a una riforma che meriterebbe ben altra collaborazione in uno spirito costituente. Riconoscere agli elettori il diritto di scegliere il titolare dell’indirizzo politico è il punto irrinunciabile dal quale partire. Inoltre, il premier eletto deve poter disporre in Parlamento di una maggioranza certa, duratura e quindi della stabilità necessaria per realizzare il suo programma. Saranno poi i cittadini, al termine dei 5 anni di legislatura, a decidere se confermarlo o premiare l’opposizione. Punto. Attorno a questo minimo sindacale, non dovrebbe essere così difficile ritrovarsi. Cambiare le regole che ci hanno portato ad avere 68 governi in 76 anni di storia repubblicana è un’esigenza sulla quale, infatti, sono tutti d’accordo. Anche a sinistra in tanti ne riconoscono la necessità. La governabilità non minaccia la democrazia, ma la rafforza e la rende più credibile agli occhi dei cittadini. L’obiezione di chi dice che il premierato sarebbe un colpo mortale ai poteri del presidente della Repubblica è avulsa dalla realtà: il Capo dello Stato continuerebbe a detenere il comando delle Forze armate, a presiedere il Consiglio supremo di difesa e il Csm, a nominare un terzo dei giudici della Corte costituzionale; così come conserverebbe il potere di concedere la grazia, commutare le pene o rinviare una legge alle Camere. Il ruolo del Quirinale di garante e arbitro resterebbe immutato. Il solo potere limitato - ovviamente - riguarderebbe quello di scioglimento del Parlamento, ma si tratta di un contenimento connaturato all’investitura popolare diretta: se il premier eletto può essere fatto fuori con un’altra maggioranza, allora che senso ha farlo votare dai cittadini? Infatti, la proposta della sinistra di puntare sul cosiddetto cancellierato serve proprio a questo: far rientrare dalla finestra l’elefante cacciato dalla porta. Ovvero il sistema in cui i governi si compongono nei palazzi, senza tenere in considerazione la volontà dei cittadini. Tu voti solo una delega in bianco a un partito, senza sapere assolutamente nulla della maggioranza, del Governo che sarà costituito e del suo programma. È esattamente questo che il premierato punta a scardinare. La riforma non è perfetta, è chiaro: dovrebbe contenere la modifica delle norme costituzionali dell’ordinamento giudiziario; andare di pari passo con uno Statuto che riconosca il ruolo dell’opposizione, affinché possa svolgere al meglio la sua azione di controllo; eliminare l’ambiguità del secondo premier, solo per dire degli squilibri più macroscopici. Tuttavia si tratta di un passo avanti sulla strada di un’Italia più governabile, più semplice e più stabile. Insomma, più seria e più forte. È per questo che a tanti non piace.