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Quando Giovanni Gentile fu assassinato 80 anni fa

Opinionista: 

Ho frequentato a lungo Firenze e per molti anni, ogni qual volta sono stato all’interno di quella bellissima Villa Montalto, al numero sei di Via del Salviatino, ho sempre provato una sorta di stretta al cuore e un senso di grande tristezza. Davanti a quei cancelli, il 15 aprile del 1944 fu ucciso, da un gruppo di fuoco di partigiani comunisti, Giovanni Gentile che in quella villa risiedeva, ospite nell’alloggio messogli a disposizione da quella eccelsa figura di bibliofilo, studioso e collezionista che fu il napoletano Tammaro De Marinis. Tra me e me, lo confesso senza alcun imbarazzo, non mi sono mai posto la famosa serie di domande che hanno fatto scrivere e discutere tanti “maestri del pensiero”, tanti scrittori e tanti soloni della carta stampata, negli ultimi ottant’anni della nostra storia,di fronte a un delitto tanto spietato quanto apparentemente scomodo e alla morte tragica di un uomo, di un intellettuale, che tutti ci invidiavano e ci invidiano: perché è stato uccisoGiovanni Gentile? Chi furono i mandanti di quell’omicidio?Chi furono gli esecutori materiali? Fiumi di inchiostro e di parole, ipotesi, testimonianze, dubbi e incertezze per un atto che nella sua brutalità e nella sua collocazione temporale ha in sé, purtroppo, il germe di ogni risposta. A uccidere il grande filosofo è stato una cellulacomunista dei Gap, in quelperiodo tormentato della guerra civile che ha dilaniato l’Italia centro settentrionale nel biennio ’43/’45. Questa è l’unica vera certezza, assoluta, inconfutabile, nonostante i tentativi di depistaggio della verità che anche in questo caso non sono mancati ed è certezza per ammissione stessa ed esplicito riconoscimento quasi immediato dei vertici del partito comunista, nell’articolo “La fine di Giovanni Gentile”, a firma di Palmiro Togliatti e pubblicato, in una Napoli giàoccupata dagli anglo americani,proprio su “l’Unità”, il 23 aprile di quello stesso 1944. Successivamente “L’Azione Comunista”, giornale clandestino di Firenze e organo del Pci fiorentino, attribuìsenza fronzoli, nel numero dell’11 maggio, l’uccisione del filosofo ai propri gruppi armatipresenti in città. Anche sui mandanti dell’assassinio si è detto e scritto di tutto, ma la realtà è molto più semplice e oggi anche molto più scomoda per tanti e, alla fine, possiamo dire che, sì, probabilmente in molti erano interessati alla morte del filosofo che aveva rivestito nel ventennio un ruolo centrale come ministro ed edificatore del solido impianto culturale del fascismo e, dopo la caduta del regime, con la nascita della Repubblica Sociale, aveva incontrato Mussolini e accettato la nomina a Presidente dell’Accademia d’Italia che fu trasferita, appunto, a Firenze. L’adesione di Gentile alla neonata repubblica si accompagnò, in parallelo, alla continua elaborazione di una linea improntata alla riconciliazione nazionale tra fascisti e antifascisti che escludesse ogni posizione estremista e sovversiva. Ma era troppo, per un partito comunista che già guardava alla conquista dello Stato, una volta abbattutoe distrutto definitivamente il fascismo e già puntava alla ridefinizione del potere politico in Italia, attraverso la modifica,in suo favore, degli assetti istituzionali e la creazione della propria egemonia politica e culturale. Giovanni Gentile, gigante del pensiero e intellettuale impegnato a ricomporre faticosamente la lacerazione e le ferite della Patria, era un evidente ostacolodialettico a questo progettoegemonico e, dunque, doveva morire.