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Quei “colpi di fulmine” che fanno male al Paese

Opinionista: 

Un anno fa, in occasione dei “70 anni della Costituzione”, in vigore dal 1° gennaio del 1948, abbiamo ascoltato un concerto di lodi, encomi, esaltazioni sulla sua saldezza, di grande conforto rispetto a una crisi politica già in atto e molto seria. Figure istituzionali di primo piano, eminenti costituzionalisti e politici di lungo corso hanno fatto a gara nel portare testimonianze preziose sul suo alto valore di rassicurante riferimento democratico. Averla poi portata in giro per illustrarne l’attualità, è stata una scelta giusta di vasto interesse: tra gli anziani per il memore ricordo del clima in cui nacque e tra i giovani per la lungimiranza dei suoi contenuti. Detto questo, come si spiega però una situazione politica oggi peggiorata molto confusa, contraddittoria, di diseducativo trasformismo e inquietanti misteri, che toccano il “palazzo”, o meglio, i palazzi , con una Costituzione sovrana, così perfetta e attrezzata? Da che deriva la instabilità permanente con coalizioni, appena varate e già con gli uni contro gli altri armati? È la nostra Magna Carta che non va o chi deve farla rispettare? Poiché sulla prima domanda le recenti celebrazioni ci tranquillizzano, c’è piuttosto da riflettere sull’incerto percorso interpretativo con troppe anomalie e enormi limiti, accentuatisi nell’attuale legislatura. A riguardo un autorevole costituzionalista, ex senatore ds, Massimo Villone, ha scritto di recente: “L’art. 90 della Costituzione esclude la responsabilità del Presidente della Repubblica per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni” - tuttavia ha precisato - “non lo sottrae alla critica”. E poiché la possibilità di esprimersi criticamente sul suo operato rappresenta proprio il complemento fisiologico di quella dichiarata irresponsabilità, ha concluso: “Il Capo dello Stato ha diritto al rispetto, che va dato senza riserve. Non ha diritto però a un silente ossequio”. Il tema istituzionale odierno molto grave è quello delle maggioranze farlocche, nate da “colpi di fulmine”, da giravolte e voltafaccia scandalosi, scorciatoie finalizzate a evitare le urne o a mantenere il potere, oppure a fare tutte due le cose insieme come nell’odierno esecutivo e in parte anche nel precedente di altro colore. È vero che, per andare al governo del Paese, basta formare una coalizione che abbia i numeri in Parlamento. Ma ciò poteva valere e valse in assoluto nella Prima Repubblica quando le maggioranze presupponevano comuni principi e valori, su cui si innestava poi un’intesa organica e strategica di prospettiva. Un abisso a fronte ai “contratti” da “foro boario” o alle recenti “cotte “da ultima spiaggia. Si poteva scoraggiare, frenare tutto ciò? Il Presidente Mattarella, bisogna dire, che nella recente crisi di governo aveva fatto balenare una sua più forte determinazione nel verificare lo spessore della intesa tra M5S -Pd, a fronte proprio a oggettivi sospetti. Purtroppo anche stavolta la musica non è cambiata. Anzi sconcerta che, in quei giorni cruciali per la legislatura, sia sfuggito - e questo è grave - il disegno divisivo di Renzi, già preconizzato molto prima del varo del governo e però annunciato solo dopo il varo: cioè aver “contrattato” una bella fetta di potere. Il Colle non può certo sfiduciare. Ma ammonire sì. Più si va avanti e più si rivela insostenibile “il Conte bis” per colpa di “Conte 2”, la vendetta, che non perde occasione per bacchettare il governo precedente, di cui egli era il premier, da far apparire che non lo sia mai stato. Il colmo del cinismo.a