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Quel raccordo mancato tra Regioni e Autonomie

Opinionista: 

L’ordinamento regionale è stato da sempre complesso. Già, in sede costituente, fu molto dibattuto e controverso da farne slittare successivamente la effettiva operatività, al 1970, addirittura ventidue anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione. Ma il discorso non si esaurì li, anzi il loro varo ne accrebbe critiche e criticità. Difatti, con l’auspicio da parte di tutti che la instaurazione dell’ordinamento regionale avrebbe potuto portare nel Mezzogiorno notevoli benefici sotto ogni profilo, si alimentò, di pari passo, più di qualche riserva. Tra i pericoli più temuti, in parte però verificatisi, vi fu da un lato, il rischio che il potere centrale trasferisse lentamente alle Regioni ciò che andava trasferito e dall’altro, che, a livello regionale, ci si potesse imbattere in una deleteria volontà accentratrice verso le realtà locali. È vero che l’articolo 118 dice che la Regione esercita normalmente le sue funzioni amministrative, delegandole alle Provincie , ai Comuni o ad altri enti locali o valendosi dei loro uffici. Ma è ancora più vero che tutto questo è rimasto spesso solo sulla carta. Per dirla tutta, se si voleva cogliere effettivamente la grande occasione dell’ordinamento regionale come una svolta, si sarebbero dovute concretizzare, e ciò non avvenuto, quattro finalità: il trasferimento di buona parte della legislazione minore agli organi regionali, la valorizzazione delle più convenienti circoscrizioni di raccordo fra centro e periferia, che, all’epoca dei trasporti veloci, sono appunto le Regioni, la giusta articolazione territoriale della programmazione economica, lo snellimento delle funzioni burocratiche. Una serie di rigorosi appunti che, già nel 1975, cinque anni appena dal varo delle Regioni, Francesco Compagna elencò e rinfacciò con quella sua originale, felice efficace proprietà di linguaggio. Quando disse che “il vizio del pan- regionalismo”, già all’origine del nostro ordinamento regionale, aveva assunto un carattere degenerativo sempre più allarmante della fisionomia stessa che, crescendo le Regioni andavano assumendo”. E aggiunse: “Se non si riesce a castigare il “pan regionalismo”, difficilmente si potrà riabilitare il regionalismo, nel considerare la Regione l’interlocutore principale , e di raccordo, fra lo Stato e le Autonomie locali. “Interlocutore responsabile - ribadì - nell’ambito della Repubblica una e indivisibile e non contestatore rissoso nell’ambito di una Repubblica frazionata e multi variabile”. Parole e avvertimenti di cinquant’anni fa più che lungimiranti, profetiche, a fronte l’odierna e contestata riforma dell’autonomia differenziata. Che, in modo surrettizio, potrebbe assecondare nei fatti il lontano disegno divisivo nordista delle “macroregioni” più forti rispetto a quelle tradizionalmente più deboli. Intanto c’è da dolersi non poco che, mentre molte delle funzioni amministrative, esercitate dagli organi centrali e periferici dello Stato, nelle materie indicate dall’articolo 117 della Costituzione sono state già trasferite o delegate alle Regioni; queste che, ai sensi del 3°comma dell’articolo 118 della stessa Carta costituzionale, avrebbero dovuto esercitare le loro funzioni amministrative, per delegarle alle Province, ai Comuni e a altri enti locali, o valendosi dei loro uffici, non sembra lo abbiano fatto come si doveva. Cioè che le Regioni ne abbiano data completa attuazione, nonostante che, con i propri statuti , di quasi tutte le Regioni, si siano impegnate a promuovere le autonomie locali e a informare la propria attività legislativa, regolamentare e amministrativa alle esigenze del più ampio decentramento (articolo 3, comma, 4° dello Statuto della Regione Campania”). Sarebbe auspicabile, per non penalizzare i cittadini , il trasferimento alle Regioni di altre funzioni amministrative previste dal succitato articolo 117, sempre che non creino una sovrapposizione di quelle funzioni non ancora delegate alle Provincie a Comuni e ad altri enti locali. I veri destinatari del decentramento, che devono gestire e attuare i piani e i programmi predisposti dalle Regioni, cui compete anche il ruolo di indirizzo e di ordinamento delle funzioni amministrative delegate.