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Se autoreferenzialità fa rima con marginalità

Opinionista: 

Ogni tanto la politica farebbe bene a farsi un tagliando critico. E l’inizio del 2020 sembra un’occasione propizia. Siamo calati, ormai da anni, nella democrazia dell’indifferenza. I partiti, nell’immaginario collettivo, contano sempre meno, gli elettori si rifugiano sempre più nel loro privato. L’anno che ci lascia ha sviluppato qualche timido segnale di mobilitazione. I giovani sono certamente scesi in strada per sollecitare i governi ad un diverso impegno verso la crisi ambientale, hanno riempito un po' di piazze con il movimento delle Sardine ma tutto in modo trasversale, senza schierarsi con un partito. Anzi, il concetto di trasformazione della rappresentanza è parso nitido, chiaro. Nessuno vuole diventare una forza politica, tutti vogliono restare un movimento che stimola, provoca, incita le assemblee legislative a fare di più, a produrre un cambiamento, direi, per molti versi, in svariate direzioni. Chi ha provato ad incanalare la protesta in un partito vive invece, oggi, la drammatica esperienza dello scolorimento politico (leggi 5 Stelle), chi potrebbe seguire la stessa strada (le Sardine) si affretta a spiegare che mai e poi mai darà vita ad un partito, perché i laccioli della politica sembrano ormai anacronistici  e nessuno vuole commettere l’errore di impantanarsi nelle sfide delle percentuali. Perfino le forze politiche più giovani come Italia Viva, nell’attesa di una concreta riorganizzazione, preferiscono non presentare liste alle Regionali, evitando di farsi contare. Nel frattempo, sono cambiati, da anni, i luoghi della discussione. Non più i libri, non più le sezioni, sempre meno i giornali, il totem da adorare quotidianamente resta legato ai social network, ai blog. Ma dietro questa moda si nasconde un oscuro presagio. Chi ha in mano le leve del potere non sembra ascoltare mentre chi prova a far sentire la sua voce appare inascoltato. E gli stessi leader politici, attraverso rapidi modelli organizzativi, si sono impadroniti dello strumento per farne megafono dei loro obiettivi più che organo di captazione delle idee che circolano nel Paese. I politologi provano, quindi, a disegnare nuovi scenari. In un breve futuro, alla democrazia dell’audience si sostituirà quella dell’indifferenza. Sarà facile misurarne la rapidità, fatalmente legata ad un’astensione elettorale che, dalla fine del Novecento, appare in larga crescita e ad un numero di iscritti ai partiti ormai in picchiata. Mentre istituzioni ed eletti continueranno a vivere nella loro camera stagna, in un orizzonte di autoreferenzialità che fa rima, ogni giorno di più, con il triste termine di marginalità.