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Solo il pugno di ferro contro gli irresponsabili

Opinionista: 

In questi giorni circolano sui social numerosi filmati che mostrano in strada la bella indifferenza della gente a bandi, ordinanze, leggi, grida, martellanti esortazioni provenienti da ogni parte e diffuse su ogni mezzo di comunicazione: atti tutti univocamente, ossessivamente indirizzati a tenere le persone chiuse a casa. Non c’è un esperto o un’autorità che non ci dica questo essere l’unico modo di non finire in ospedale e, di lì, con discrete probabilità, al camposanto. C’è stata anche un’eccellente conferenza stampa del Presidente De Luca che, con i suoi modi franchi, giustamente beffardi, amaramente ironici e fondati su seria conoscenza dell’uomo, ha lanciato un messaggio, crudo, estremamente concreto, stabilendo precisi nessi di causalità tra i comportamenti dissennati e l’insorgenza in forma grave della malattia. Ha preso spunto dalla notizia che aveva ricevuto di qualche insipiente che avrebbe inteso festeggiare il conseguimento della propria laurea. Forse per renderlo inutile. Ed ha usato parole dissuasive quant’altre mai, con buona pace dei nostri garantisti. Ma, ciò nonostante, nonostante questo combinato apparato di strumenti persuasivi e mezzi repressivi, resta la realtà di vaste, vastissime aree del tutto sorde ad ogni segnale, ad ogni invocazione alla responsabilità. Tutto inutile, tutto vano; in vaste aree, strade affollate, spesa quasi come ogni giorno, nessun rispetto delle regole precauzionali, nemmeno di quella, elementare, del mantenere la distanza d’un metro tra bipedi. C’è da dire che non tutti sono come Vincenzo De Luca: il debole Governo Conte ancora oggi cincischia con misure mezze, quando il rigore assoluto è chiaramente l’unico mezzo, in tanta indisciplina. Ma perché tanta indisciplina? In queste settimane, l’invocazione al principio di responsabilità individuale è divenuto quello che oggi volgarmente si definisce un mantra, e che più correttamente dovrebbe chiamarsi un topos: un richiamo cioè ad argomenti che dovrebbero essere immediatamente percepiti e condivisi, indirizzando all’azione con essi coerente, perché facenti parte d’un precostituito patrimonio culturale, riconosciuto diffusamente in una comunità. Ed invece, parole al vento: al vento soprattutto in determinate ambiti più degradati e periferici ma, devo dire, non solo. Purtroppo, è anche troppo banale comprendere la ragione di tanta ipoacusia. Per troppo tempo, la politica ha considerato, da noi in particolare e nel Mezzogiorno specificamente, le persone come oggetti. È una tendenza generale della politica, come ricordava Paul Valery già un secolo fa. Ma c’è modo e modo. In Italia, almeno a far data dalla metà degli anni sessanta, si è rinunciato ad un serio processo educativo di massa, un processo che dopo l’Unità, per vero, era stato avviato e condotto in avanti faticosamente, con i mezzi di allora, maestro elementare in primis. Questo disegno è via via scemato: dapprima la scuola è stata devastata da una sconsiderata legislazione clientelare che ha soppiantato la selezione dei docenti attraverso seri concorsi con immissioni senza filtro dalla supplenza (personalisticamente accordata) al ruolo: la politica delle retribuzioni ha seguito di concerto, con paghe al più appetibili come complemento al reddito familiare aliunde prodotto; poi, il processo è transitato all’Università, dove il disastro degli ultimi venti anni, praticamente irredimibile, affonda le sue radici nel Dpr 382 del 1980 e nella sempre più disfattista e burocratizzante legislazione che vi ha fatto seguito. C’è da meravigliarsi se l’invocazione al senso della responsabilità individuale cada largamente nel vuoto? C’è da meravigliarsi se in Cina i cittadini si sono comportati come militari ed pochi devianti sono stati seriamente sanzionati, mentre in Italia ancora oggi c’è chi passeggia, va al mare, impegna piazze e mercati per perder tempo? Ed ottiene anche una certa qual comprensione. Certamente no, non c’è da meravigliarsi. Il senso di autoresponsabilità significa farsi carico del futuro vincendo egoismi del presente. È il frutto d’una disciplina che s’acquisisce attraverso percorsi di formazione, non di chissà quale sofisticazione, ma che con rigore facciano avvertire l’appartenenza alla comunità, l’impegno che ciascuno di noi deve profondere perché l’impresa collettiva possa avere successo. Questo serbatoio valoriale al quale attingere in caso di bisogno da noi è a secco, è scarso se non anche inesistente, l’espressione etica civile è astrusità per pochi. I gesti di totale irresponsabilità non sono eccezioni, piuttosto non si contano tra i cittadini comuni. E dunque, se ci riusciremo, solo un pugno di ferro potrà indurre a comportarsi diversamente. Il professor Paolo Ascierto su Tuttosport di sabato ha invocato l’aiuto di un simbolo del calcio: da serio scienziato, ha osservato, ed ha quindi identificato ciò su cui si può contare per muovere qualcosa: ma, intendiamoci, è un altro chiaro segno di quel che significa l’avere tralasciato ciò che di più fondante c’è nella costruzione dello Stato: la formazione dei suoi cittadini.