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Toglietegli tutto ma non il reddito di fascistanza

Opinionista: 

Più che Scurati oscurati. Nel cervello però. D’altra parte l’odio ha esattamente questa caratteristica: ti divora e può annebbiare anche le menti più brillanti. Solo che l’odio non nasce da sé, è un sentimento che ha bisogno di un innesco per poi iniziare a crescere. Fino a obnubilare. Il 25 aprile è l’innescocui la sinistra non può e soprattutto non vuole sottrarsi. È così da 79 anni. Ogni volta la stessa insopportabile scusa. Lo stesso incancrenito copione. Stavolta, complici le elezioni europee, sono settimane che suona la grancassa del «pericolo fascista». Fino a raggiungere il culmine con la vicenda di Antonio Scurati, lo scrittore cui la Rai ha rifiutato di mandare in onda uno scadente monologo che del 25 aprile aveva solo il pretesto: era in realtà l’ennesimo randello per picchiare forte su Giorgia Meloni, accusandola in sostanza di essere una fascistona impenitente. Un complimento che neanche quei pochissimi rimasti che fascistoni invece si considerano sul serio sono disposti a concedergli. Anzi, per la verità da quelle parti ritengono la premier una sorta di “traditrice”. O qualcosa che gli somiglia molto. Ma questo, come tutto il resto del mondo reale, per Scurati e i suoi compagni non significa nulla. La verità è che alla sinistra dell’antifascismo non interessa niente; è soltanto il bastone più grosso per menare il Governo e la destra. A costoro non è sembrato vero poter gridare alla «censura» e indossare i panni dei martiri della libertà. Quella pagata con i soldi dei contribuenti s’intende. E quando la presidente del Consiglio è andata oltre la bassa polemica politica, pubblicando lei stessa il monologo dello scrittore, dimostrando così l’inesistenza di qualsiasi volontà censoria, alla sinistra non è bastato neanche quello. La vicenda, artatamente costruita, sarebbe soltanto grottesca e ridicola se non fosse per il fatto che è rivelatrice di quali vette di faziosità e partigianeria si possano raggiungere quando l’odio prevale sulla ragione. Dimostrando così ancora una volta che il 25 aprile è tutt’altro che quella festa nazionale che si vuole millantare: è sempre stata e sempre sarà la festa delle bandiere rosse, di un’Italia contro un’altra; anche violenta, come testimoniano le ultime tensioni di piazza. Una ricorrenza partigiana non solo perché di parte, ma nel senso di faziosa e divisiva. Sono loro che hanno bisogno del fascismo, non Meloni. Senza il fantasma del Ventennio sarebbero perduti. In assenza del Grande Nemico immortale quel «fascismo eterno» teorizzato da Umberto Eco sarebbe impossibile proseguire ad alimentare carriere politiche, intellettuali, giornalistiche, accademiche, universitarie, artistiche e chi più ne ha più ne metta. Da questo punto di vista Mussolini continua ad essere il centro per l’impiego più efficiente d’Italia. Ne ha sistemati più da morto che da vivo, distribuendo a piene mani il reddito di fascistanza: sicuro, garantito, puntuale a fine mese e con annessa pensione assicurata. È successo anche con Silvio Berlusconi che ha reso ricchi famosi giornalisti, diventati in realtà famosi solo per l’odio nei suoi confronti. Non a caso il Cavaliere divenne subito Nero e si beccò la sua dose di randellate per essere l’incarnazione del nuovo «pericolo fascista». Tutto ciò è figlio del fatto che si continua a raccontare una storia falsata, monca e caricaturale spacciata come vera. Il 25 aprile un corno: i tedeschi non furono sconfitti dai partigiani ma dagli Alleati, anche se i coraggiosi liberatori nostrani della 25esima ora avrebbero preferito i sovietici. Il resto è apologia. Mito. “Il mito della Resistenza” di cui scrisse già nel 1992 uno storico operaista di sinistra come Romolo Gobbi. Peccato, una volta i compagni almeno leggevano i loro autori. Il peso militare della lotta partigiana che fu soprattutto comunista, quindi illiberale fu inversamente proporzionale al sangue versato nella guerra civile che tramortì gli italiani, facendoli uscire dal conflitto divisi e carichi d’odio. Lo stesso che ancora oggi dura. E oscura la ragione di tanti.