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Una politica priva di idee e di stile

Opinionista: 

Non è vero che tutto accadde all’improvviso. La degenerazione del costume politico del nostro Paese è stata progressiva. Esauritasi la tensione morale della ricostruzione, non solo materiale, del periodo postbellico, abbiamo ripreso a indossare tutti i panni dei “tempi di prima”: ipocrisia e doppiezza, attenzione più all’apparire che all’essere, meno pratica del Diritto e più del “rovescio” o decisamente del “suo contrario”. Vistosi i segni dell’indebolimento delle strutture sociali portanti (famiglia e scuola); politica come professione e non servizio; furbizia al posto di intelligenza e cultura; la corruzione come metodo di Governo e di vita. Maggiormente vulnerati i partiti invasi da troppi “arrampicatori” e diventati unico  “ascensore sociale”. Metro valutativo delle persone non più “chi sei”, ma “quanti voti hai”.

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Rimedio “peloso”. È il “politicamente corretto”. Quando ci si rese conto che la misura del degrado era al colmo, si proclamò la fine delle ideologie e si assunse il criterio di una esclusiva attenzione al pragmatismo esistenziale. Cosa significa: niente più scazzottature fra i militanti dei partiti, meno manicheismi rabbiosi e più rispetto delle opinioni altrui, consenso elettorale acquisito con la validità programmatica e coerenza dei ragionamenti e non più con la forza muscolare. Agli scontri di piazza si sarebbe sostituita la virtù dialettica. Retrodatando il “politicamente corretto”, il giornalista saragattiano Romolo Mangione (nativo siciliano) non avrebbe più aggredito, in tv, il leader comunista Palmiro Togliatti detto “il migliore”. Anni dopo, il Pci non avrebbe dovuto più definire “caporione”, ma “segretario” del Movimento sociale, Giorgio Almirante. Tutto divenne una farsa. Quel cambio di tono, una “carità pelosa”.

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Necessaria una tregua. Partiti stremati da una lotta improduttiva per tutti, considerazione zero per la politica sempre più un autobus cui si poteva accedere solo dal di dentro e con i vertici decisionali trasformati in azionisti esclusivi. Molto accentuato il divario fra Paese reale e legale. Fu così che, alle elezioni di ogni tipo, primo partito divennero gli astensionisti. Non pochi si ritrovarono fortunosamente deputati o senatori con percentuali da prefisso telefonico. Dietro il titolo “pomposo”, a Montecitorio e a Palazzo Madama rappresentavano solo se stessi.

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Finto “tempo nuovo”. Una reazione fu necessaria. Alla fine degli anni ‘80 (mentre il Novecento si appestava a chiudere i battenti), viene adottato il “politicamente corretto” nato nell’università del Michigan. In America voleva dire “opinione e atteggiamento sociale che rifugge offese e pregiudizi”. Da noi lo si visse “all’italiana”: cortesie formali, botte da orbi nei fatti. Si affermò la “televisione spazzatura” che coinvolse, sia pure in forme diverse, servizio pubblico Rai e reti private. Lo stesso Giacinto Pannella si esibiva “senza freni inibitori” contro i suoi contraddittori. Chi scrive queste note aveva spesso, ospite in studio a Viale Marconi, il leader radicale durante le tribune politiche. Prima dell’inizio gli diceva: «Mi raccomando, adesso non aggredire gli altri ancora prima che aprano bocca…».

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Tv luogo dei desideri. Irresistibili gli studi scenografici, le luci, gli “occhi rossi del diavolo” delle telecamere fisse e mobili. Un accorrere frenetico verso i talk show divenuti arene per gladiatori. Qui le parole più spregevoli, offensive e turpiloquianti predominano. Il “politicamente corretto” va a farsi benedire. Ormai è una normalità. Non fa più effetto per nessuno questo “livellamento” verso il basso. Primatisti due Vittorio: Feltri e Sgarbi (ma anche le donne, di politica o di spettacolo, non scherzano). Feltri ancora “si mantiene” quando gli chiedono “se trovassi tua moglie a letto con un altro, cosa faresti?” e lui risponde “le direi di cambiare le lenzuola”. Sbraca, invece, quando nel giorno dei Santi gli chiedono “quale preferisci?” e lui: san culo. Alla Gruber che lo definisce “un poveretto in andropausa grave”, risponde: “sei una merda, fatti un lifting al cervello”. Contro la Biancofiore che gli consiglia di studiare la storia, inveisce con uno “studiala tu, cogliona”. Se Candida Morvillo lo interrompe, interviene come una furia: “Che cazzo dici, stai zitta, non rompere i coglioni e vai a fare in culo”. L’altro Vittorio, Sgarbi, non è da meno. L’invettiva “capra, capra” era troppo debole. Ora involgarisce i toni. Se parla di economia, liquida tutto con “l’euro è una merda”. A Gomez che lo contesta: mi dia del lei e vada a fare in culo. Quando si scontra con Wladimir Luxuria (giura di averla vista anni prima battere la strada come frocio), chiede a bruciapelo: ma il cazzo ce l’hai o no? Risposta con lo stesso garbo: “sono cazzi miei e tu fatti i tuoi”. Se Mario Giordano lo definisce “un pietoso caso umano”, pronta la reazione: “sei un castrato di merda, mi hai rotto i coglioni”.

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Un “Bonsignor” Della Casa. In pieno ‘500 ebbe successo il “Galateo dei costumi” di Monsignor Della Casa (fu anche Arcivescovo di Benevento: Clemente Mastella, sindaco della città, ne sa qualcosa?). Un complesso di regole di “buona creanza” - etica, estetica, pedagogia - per una vita “armonica, semplice di stile e linguaggio”. Per la situazione italiana, visti i tempi disgraziati, non servirebbe un “Bonsignor” della politica?