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Altro che traghettatore, al Pd serve molto di più

Opinionista: 

È imminente, ormai, la riunione della direzione nazionale del Pd che dovrà pronunciarsi sulle inattese dimissioni di Nicola Zingaretti. Dobbiamo confessare di aver avuto, al riguardo, qualche incertezza. Ci siamo chiesti, cioè, se il segretario fosse realmente intenzionato a mantenere la propria decisione e ci era tornata alla memoria l'abusata formula andreottiana secondo cui "a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si indovina". Abbiamo stentato, infatti, a liberarci del sospetto che le dimissioni altro non fossero che una mossa astuta per superare la situazione di impasse determinatasi nel partito. È pur vero, infatti, che i "social" sono ormai divenuti un fondamentale strumento di comunicazione. Ma è innegabile, ad esempio, che Togliatti o Berlinguer non avrebbero annunciato le loro dimissioni su Facebook. Pensavamo, quindi, che quelle di Zingaretti fossero dimissioni fittizie e che egli le avesse presentate con il nascosto proposito di cedere, poi, alla mozione degli affetti dell'assemblea. Sbagliavamo. E i nostri erano soltanto pensieri maliziosi e privi di fondamento. In realtà, siamo in presenza di autentiche dimissioni, "irremovibili", come lo stesso diretto interessato le ha definite, ribadendo che non tornerà indietro. E bisogna dargli atto di essere stato coerente. Ora, dunque, la prossima assemblea dovrà prendere decisioni estremamente importanti e due cose dovrebbero essere ben chiare. La prima è che, comunque, il Pd non può eludere la convocazione, a breve, di un congresso che dia alla nuova leadership l'autorevolezza della quale ha bisogno (e che finora le è mancata) per affrontare una stagione politica che ha difficoltà senza precedenti e che sia in grado di mettere a punto una strategia degna di questo nome. Il secondo punto del quale l'assemblea dovrà tener conto è che la situazione nella quale il partito versa è tale (i sondaggi lo danno in caduta libera, superato, oltre che dalla Lega, anche dai cinquestelle e da Fratelli d'Italia) che non può, quindi, essere affrontata da un semplice traghettatore. Occorre una personalità che sia realmente in grado di affrontarla con la necessaria determinazione e con il conforto di un partito unito, non lacerato dalle contrapposizioni tra le correnti che ha fatto da contrappunto alla gestione zingarettiana. Non dovrà essere, insomma, una semplice comparsa (il nome di Enrico Letta che circola in questi giorni e che appare propenso ad accettare, è in qualche misura una garanzia come lo sarebbe, ad esempio, quello di Bonaccini), ma un leader destinato a succedere a se stesso nel prossimo congresso. Altrimenti rischierebbe di fare la stessa fine di Zingaretti. Soprattutto il segretario entrante deve avere delle idee. Nel confermare la sua volontà di lasciare la poltrona, il segretario uscente ha detto: "io lascio, ma restano le mie idee". Non vorremmo apparire irrispettosi, ma non possiamo fare a meno di chiederci e di chiedergli: "quali erano?". È stata proprio la carenza di idee, infatti, una delle cause principali del declino del Pd; una carenza di idee che lo ha portato a non avere iniziative e ad appiattirsi acriticamente sui cinquestelle.