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Appalti pubblici senza trasparenza

Opinionista: 

Le recenti inchieste, condotte dalle Procure della Repubblica di Napoli e di Roma in tema di appalti pubblici, sembrerebbero dimostrare un dato davvero desolante. Anzitutto, per la capillare diffusione delle possibilità di condizionare, pesantemente, gli esiti delle procedure di selezione dei contraenti pubblici. Gli appalti della Consip, che sarebbero stati oggetto di distorte pressioni della Romeo Gestioni e della Cofely, hanno portato rispettivamente all’assegnazione di lotti per 609 e 585 milioni di euro. Ci sono confessioni da parte di funzionario che afferma d’avere intascato una cospicua tangente per elargire favori; ci sono consistenti tracce d’interessamenti, sia per l’una sia per l’altra aggiudicazione (provvisoria) da parte di opposti mentori politici. Si tratta, soprattutto, d’appalti d’enorme dimensione economica, rispetto ai quali, nonostante l’importanza dei lotti e l’affidamento delle procedure alla sola Consip – scelta accentratrice che avrebbe avuto esattamente lo scopo di garantire la trasparenza delle procedure – pare non solo che di trasparenza non si ha nemmeno a parlare, ma che addirittura, lungo tutto il corso dello svolgimento delle gare, non un’impresa abbia dubitato della necessità di ricorrere a pratiche quanto meno altamente scorrette, per conseguire il risultato e portare a casa una sezione della cospicua torta (circa 2.600 miliardi euro). Veniamo all’altra, ben nota e più recente vicenda di questi giorni, essa tutta campana. Ci sarebbe stato, e le emergenze probatorie sembrano per vero eloquenti, un microsistema di potere, forse è eccessivo definirlo una cricca, grazie al quale finanziamenti pubblici, transitanti attraverso la nostra Regione, sarebbero stati assegnati a vari Comuni per la realizzazione di opere pubbliche di modesta entità. Le assegnazioni avvenivano sulla scorta di progetti preliminari messi a disposizione degli enti da un professionista, l’architetto Guglielmo La Regina, che poi, facendo leva su compiacenti amministratori e professionisti, sarebbe stato in grado di pilotare anche le aggiudicazioni, sia grazie alla puntuale conoscenza dei contenuti progettuali, sia grazie alla designazione di commissari sodali nelle commissioni di gara. Questo schema operativo si sarebbe dimostrato particolarmente efficace, se è vero che ha portato buoni frutti in oltre una ventina di appalti, per un complessivo di oltre due decine di milioni di euro. Ora, viene spontaneo d’osservare che una legislazione sui contratti pubblici che definir occhiuta sino alla farragine è usare lessico garbato; un’intera sequela di controlli ai più vari livelli: dal responsabile del procedimento, alle varie forme di verificazione dei progetti, alle procedure per la designazione dei componenti delle commissioni di gara, alle verificazioni degli elaborati progettuali, sino a giungere alla mitica Anac, un’intera sequela di garanzie e attività di vigilanza non impedisce, né a livello d’importanti commesse né a livello di piccoli appalti, che si determinino deviazioni così gravi da vanificare il senso stesso di tutto quel castello procedurale, il quale finisce col rilevarsi niente altro che l’antonomastico castello di volatili carte. È qui la stranezza più grave: perché vuol dire che tutto quanto s’investe in apparati e procedure finalizzate a garantire l’araba fenice della trasparenza, non serve assolutamente a nulla se, ad ogni livello, piccolo, medio o grande è possibile aggirare agevolmente le norme e tutti sono al corrente che ciò impunemente avviene: anzi, il che è peggio, che è necessario mettersi all’opera, altrimenti comunque lo faranno gli altri: cosicché la gara non è che manchi proprio del tutto, ma si sposta dalle futili procedure pubbliche ai rispettivi retroscena. Eppure a me sembra troppo singolare: perché un organo dotato di tanto rilevanti poteri ispettivi, come appunto l’Anac certamente è, non avrebbe colto mai – disponendo conseguenti, accurate indagini – anche dati seriali, che pure avrebbero dovuto mettere in sospetto? Non avrebbe colto circostanze da indurre sospetto: che cioè a vincere certe gare siano di frequente gli stessi soggetti, che a far da progettista o direttore dei lavori quando ci sono certi finanziamenti siano sempre determinati professionisti; e chissà quant’altri intrecci ad un occhio attento non sarebbero potuti sfuggire. Per non dir poi, che se le imprese erano al corrente di manovre ai loro danni – e ricorrevano ad ogni strada per vanificarle contrapponendo ad esse specularti rimedi – è davvero curioso che organismi al centro della gestione dei pubblici appalti non avessero sentore d’alcunché. Posso sbagliarmi ma, soprattutto se quanto sembra emergere con notevole nitore, almeno per taluni degli aspetti contestati, dovesse trovar conferma, significherebbe che il sistema è completamente inadeguato ed andrebbe sottoposto a profondi ripensamenti, senza dei quali la trasparenza resterà un’autentica presa in giro.