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Bagnoli, la “bellezza” e la cultura di un popolo

Opinionista: 

Non è vero che la bellezza è soggettiva e che si possono esprimere giudizi positivi su molte opere dell’architettura contemporanea. Roger Scruton, docente di filosofia teoretica all’università di Oxford, ha pubblicato Beauty (bellezza), nel quale sostiene che, al di là delle varie idee espresse nei secoli, “La bellezza non è una impressione soggettiva ma è un valore assoluto, oggettivo, parte integrante della cultura di un popolo” E Oscar Niemeyer, pochi mesi prima di morire, ha detto: “L’architettura contemporanea mi fa orrore perché ha smarrito il senso della bellezza”. Il fatto è che la così detta architettura contemporanea è, da qualche decennio, all’affannosa, disperata e disperante ricerca di una sua identità in una babele di linguaggi: post-modern, cheap-scape, plasticismo, decostruttivismo, hi-tech, minimalismo, neo-razionalismo e un neo-classicismo alla Bofil. E, addirittura, la ciber-architectur, scaturante dai supercomputer. Il suo vate è l’americano Thomhas Mayne, autore di autentici orrori, che sono stati premiati con il Premio Pritzer (una sorta di Nobel) da quei mattacchioni della Giuria. È convinto che “l’architettura classica, quella di Palladio e di Brunelleschi, ha un futuro soltanto come reperto da museo. L’architettura del 21° secolo è fatta da grandi tecnologie e non più di memorie, di artigianalità, di storia o di tradizione. Dimenticate Wright, Mies, Le Corbusier e Kahn, grandissimi ma superati”. Franco La Cecla, sociologo e architetto, nel suo libro “Contro l’architettura”, ha scritto “La moda ha ucciso l’architettura perché le archistar progettano per stupire e non per migliorare la qualità della vita”. Basterà citare le “Dancing towers” di Zaha Adid a Dubai, grattacieli di acciaio e vetri variamente ondulati a simulare tre danzatrici del ventre. E confrontarle con la raffinata eleganza del Seagram Building realizzato da MIes Van der Roche nel 1958 a New York: una spilla di Cartier di fronte alla volgare bijoutterie dei grattacieli che sono venuti dopo. Nel suo “Architettura e felicità” Alain de Botton ha scritto: “Se riteniamo che la qualità dell’ambiente in cui viviamo sia fondamentale per il nostro benessere, non possiamo non interrogarci sul rapporto tra architettura e felicità e, quindi, sulla bellezza”. Ma prima dello scrittore svizzero Aristotele aveva detto: “Le città devono essere concepite in modo da proteggere i suoi abitanti e,nel contempo, da renderli felici ”. Secondo il sommo filosofo: “La felicità si approssima alla bellezza”. Nikos Salingaros, docente di matematica all’università del Texas, ha redatto un “Manifesto per la bellezza in architettura”, firmato da Mario Vargas Llosa, Robert Hughes, Antoine Compagnon, Jeremy Rifkin e da altri studiosi. Il Manifesto argomenta le ragioni per le quali bisogna schierarsi contro il nichilismo dell’architettura contemporanea, contro i maxigrattacieli, le architetture hi-tech e quelle decostruttiviste, contro un’architettura che sta diventando un puro manierismo. Vi si legge, tra l’altro, che “ogni civiltà ha costruito edifici che rappresentavano un modo di pensare e di vivere; i nostri architetti fabbricano alloggi e mausolei per futuri cadaveri. Pensiamo alle periferie ideate da questi architetti : sono luoghi orrendi, degradati, i cui abitanti hanno come disvalore di riferimento il brutto. L’architettura contemporanea ha rinunciato a pensare in termini di bellezza”. È dal 1994, da quando l’amministrazione Bassolino ha definito “gli indirizzi urbanistici per la città di Napoli”, che chiediamo un pubblico confronto sulla grande trasformazione urbana di Bagnoli. Quando cominceremo a discuterne (auspicabilmente in tempi ravvicinati) non dimentichiamo che il suo scopo finale è quello di trasmettere il messaggio della “bellezza”. “La bellezza è lo splendore della verità”, ha detto Sant’Agostino. E questo obiettivo irrinunciabile può essere raggiunto solo attraverso un concorso internazionale di idee. Da bandire subito.