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Evitare al Mezzogiorno la “decrescita infelice”

Opinionista: 

Sono vent’anni che anche in Italia ha messo piede la teoria, tra filosofica ed economica, della “decrescita felice” preceduta da slogan tipo “consumare meno per vivere meglio”; “torniamo a essere padroni della nostra vita”. Dal francese Serge Latouche, padre della “decrescita”, a Mimmo De Masi molisano di nascita e napoletano di adozione convinto assertore, si è spiegato che la programmata riduzione degli sprechi fa risparmiare denaro e riduce danni ambientali (attribuibili proprio a consumo compulsivo fuori da ogni controllo).Il denaro risparmiato avvierebbe intraprese produttive di grande vantaggio collettivo.

E IL SUD? Invece di fare come le stelle di Cronin che stanno a guardare, una “decrescita felice” intesa con il ragionamento di Latouche e De Masi, aprirebbe prospettive di progresso e socialità. Invece l’inerte immobilismo che si registra, costringe a subire non una “decrescita”, ma una recessione che diventa oggettiva e generalizzata diminuzione di merci e beni: una pericolosa crisi e caduta della qualità di vita per tutti. Quindi una vera e propria “decrescita infelice” che investe l’economia e non risparmia alcun aspetto della società campana e meridionale.

DATI ALLA MANO. Nell’Europa a 28 Stati, il 6,1 degli uomini si ritrova senza lavoro, per le donne è il 6,8. In Italia la disoccupazione è all’8,1. Per i giovani tra i 15 e i 24 anni, arriva a quota 23,7. Il Nord è contiguo ai grandi mercati internazionali, il Sud non si scrolla di dosso la condizione del tutto periferica. Senza prospettive, i giovani vanno via: il 29 per cento con tanto di diplomi e lauree. Così sul Sud pesa il costo della loro formazione e al Nord va tutto il vantaggio di poterli inserire senza apprendistato o “perfezionamento”, nel sistema produttivo. Per chi non può emigrare, i 5stelle di Conte e dell’ex presidente della Camera Fico, puntano ora a far approvare, dalla Campania, un “reddito di cittadinanza” regionale. L’assistenzialismo è duro a morire! Senza contare la pervasività e l’estensione dell’area in cui agisce criminalmente la delinquenza organizzata micro o macro che sia.

BASILICATA CANDIDATO CERCASI. Giorni di ansimante trepidazione. Sembrava che il campo-largo ( Pd e grillini), cercasse ombre nel buio o avesse ragione, nel territorio fra l’Appennino e due mari, Dante Alighieri quando, nel purgatorio, dice che “molti rifiutano lo comune incarco”. Primo nome Angelo Chiorazzo,”re” delle cooperative, proposto da Roberto Speranza “per ripartire coi diritti alla salute”. Immediato il veto dei 5stelle. Fuori subito il nome di Domenico Lacerenza, 66 anni, oculista di Barletta (si pensa subito alla storica “disfida”: i 13 cavalieri italiani che, nel febbraio del 1503, vincono contro 13 omologhi francesi). Il sì di Conte al medico da 25 anni trapiantato in terra lucana non basta. In Azione si smarca Marcello Pittella ex governatore “basilisco” uscito dal Pd e diventato calendiano: ”La sinistra ha ormai un leader, Conte, che dà le carte”. Si aggiunge la renziana Italia Viva. Dopo 72 ore Lacerenza, che come oculista aveva “visto” bene, declina l’invito (“non posso non tener conto delle negative reazioni”). Umiliato e offeso per il primo rifiuto sul suo nome, ufficializza l’autocandidatura Angelo Chiorazzo con “Basilicata casa comune” e altre civiche. In “zona Cesarini”, a pochi giorni dalla presentazione delle liste e a un mese dal voto, ecco che Pd,5stelle e ecologisti rosso-verde puntano su Piero Marrese,43 anni, il più giovane fra i presidenti della Provincia di Matera, sindaco di Montalbano Jonico. A guastare il sollievo del campo largo, la rottura con Calenda che stigmatizza: ”La Schlein è scomparsa, non risponde più nemmeno al telefono; da partito riformista il Pd è ruota di scorta dei grillini”. Nel Centrodestra, inutilmente osteggiato in un primo momento da Salvini, sarà Vito Bardi a puntare sul secondo mandato. Anche qui, dopo le adesioni di Italia Viva e di Calenda, si parla ora di campo largo. Ecco che il vicepremier e ministro degli Esteri Tajani esprime soddisfazione perché “un Presidente di Forza Italia è in grado di allargare i confini”.

CAPITALE DELLA CULTURA. Istituito dieci anni fa, è un titolo ambìto per il quale scendono in campo le città italiane indipendentemente dalle dimensioni (territorio, abitanti). Via via se ne sono fregiate, quanto al Mezzogiorno, Cagliari, Lecce, Matera, Palermo, Procida. Per l’anno in corso ne va fiera Pesaro; nel 2025 Agrigento, mentre per il 2026 viene proclamata, dal ministro Gennaro Sangiuliano, l’Aquila (tra le 10 finaliste figuravano le meridionali Agnone di Isernia, Lucera di Foggia, Maratea di Potenza). Definita “multiverso”, la città capoluogo dell’Abruzzo si presenta come multifunzionale, flessibile tra concretezza e astrazione, tra quotidianità e globalità.