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Evviva l’Italia, una e differenziata

Opinionista: 

Sappiamo tutto su come si vota a Sanremo, a XFactor, le vite dei fidanzati di Temptation Island e abbiamo il Grande Fratello più lungo della storia. E in piena estate siamo medaglie d'oro del calciomercato da bar e nell'intervallo pasdaran del tweet del politico in (e da) spiaggia. Rispetto a cotanti temi il dibattito sulla autonomia differenziata pare sia troppo noioso, anche per i media che, quando lo fanno, ne parlano per dovere di cronaca badando bene a non disturbare troppo e di dedicarsi a sufficienza alle singole dichiarazioni del politico locale, specie – e con particolare attenzione – quando sono del tutto banali e irrilevanti. In tal senso il vuoto pneumatico, fiato per muovere l'aria in cerca di ventilazione, è democratico e universale (come un crimine), senza differenze tra governatori di regione e consiglieri di municipalità. W la democrazia 2.0. Dell'autonomia differenziata pochi conoscono, e meno di costoro coloro che se ne occupano ed interessano, eppure è una riforma che rischia di cambiare radicalmente la mappa dei poteri dello Stato e la geografia sociale ed economica del Paese, in una visione che passa da "auspicio di coesione" a "spaccatura radicale" e definitivamente irrecuperabile. Il nodo sono i Lep – Livelli Essenziali di Prestazioni – previsti in Costituzione dal 2001 e mai nemmeno formalizzati. Lo Stato determina i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, recita l'art. 117. E lo Stato questi livelli non li ha mai stabiliti! Si tratta di quali siano le prestazioni minime da garantire per tutti, da Aosta a Lampedusa: quanti posti asilo garantire ovunque, se con o senza mensa, ma anche i tempi e i costi delle tac, i posti letto in terapia intensiva, quanti pronto soccorso, le scuole e la formazione delle classi, ma anche strade, infrastrutture, trasporti. Un esempio per tutti, nel 2020 l'89,6% dei comuni dell’Emilia Romagna offriva servizi per la prima infanzia: in Calabria il 19,3%. Evidente che se non stabiliamo tutti insieme "prima" quali siano i livelli minimi essenziali è difficile "poi" chiamarla autonomia: diciamo defintivamente che "l'Italia è una e differenziata" e destinata a restare tale. La proposta delle "regioni del Nord" infatti prevede che il finanziamento sia basato non su trasferimenti dallo Stato, ma su compartecipazioni dirette su Iva e Irpef. Una volta attribuita alle regioni una quota dei tributi erariali – per esempio il 20 per cento dell’Irpef incassata sul territorio – la crescita di questa determinerà automaticamente le risorse a disposizione delle regioni per finanziare la nuova spesa. Ne segue che se la dinamica del gettito è superiore al nord rispetto alla media nazionale, tali regioni avranno più soldi delle altre per finanziare la propria spesa. E l’opposto non può succedere perché comunque le risorse derivanti dalle compartecipazioni non possono generare un gettito inferiore alla spesa media: le regioni si tengono i soldi in più; se invece le cose vanno male, ci pensa comunque lo Stato nazionale a rimborsarle. C’è poi un problema non secondario. Il fatto che le entrate delle regioni dipendano dall’evoluzione delle proprie basi imponibili di per sé non è un male: vuol dire che hanno un incentivo a farle crescere e a far pagare le tasse ai propri cittadini. Ma a garanzia dell’enorme debito pubblico italiano, che è e resterebbe nazionale, c’è la capacità dello Stato di sollevare tributi. Devolverne buona parte alle regioni ricche, sia pure a fronte di spese che lo Stato non deve più sostenere, significa ridurre queste garanzie. Infine c'è un problema distributivo. Il professionista e l'impresa del nord che fatturano al sud: su quel fatturato come le calcoliamo le imposte? Imponiamo ad un'azienda con sede a Milano che se vuole aprire un negozio o sede o filiale o gestire un appalto a Napoli deve costituire qui da noi una società? Decisamente una visione del tutto autonoma dell'autonomia, dove trattengo alla fonte, posso solo incassare di più, se ho delle perdite le paga qualcun altro, e il debito pubblico resta collettivo. Certo le vicende della Santanché o il costume da bagno della Meloni, o la versione invernale di Temptation Island e cosa farà la Juve (dove paga le imposte?) sono più avvincenti, ma non per i bambini degli asili calabresi. Men che meno per i malati: il divario Nord-Sud per le cure essenziali è ormai strutturale e il ddl Calderoli sull'autonomia differenziata legittimerà normativamente le diseguaglianze visto che nei primi 10 posti si trovano 6 Regioni del Nord, 4 del Centro e nessuna del Sud (monitoraggio Gimbe 2021). In alto i calici e... Salute!