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I Dem devono decidere cosa fare col Governo

Opinionista: 

Non è un problema di uomini. E neanche di donne. È un problema d’idee. L’assemblea del Pd eleggerà un nuovo segretario al posto del dimissionario Nicola Zingaretti, ma questo non farà alcuna differenza se i dem non scioglieranno il nodo gordiano che continuano a rinviare da anni: qual è la loro identità? Terremotato dalla fine del governo Conte e dalla nascita dell’esecutivo Draghi, il Pd è chiamato a decidere se confermare l’alleanza con M5S oppure se dar vita a qualcosa di diverso. Magari un superamento dello stesso Pd. Una scelta difficile, che certo non può essere fatta in un’assemblea nazionale, ma soltanto con un congresso costituente. È abbastanza per dire che nell’immediato non potrà accadere nulla di decisivo. Ora si parla di Enrico Letta. Eleggerlo vorrebbe dire portare alla segreteria un profilo politico, culturale e internazionale in teoria agli antipodi rispetto a quello dei sostenitori dell’alleanza strategica con M5S. Il punto, però, è che i principali sponsor di Letta sono proprio tra i maggiori fautori dell’intesa con Conte. Zingaretti se n’è andato perché ha fallito una linea politica, quella costruita sull’accordo col M5S: se il nuovo segretario la conferma, tanto valeva tenersi il vecchio. O no? Basta questo per capire quanto è grande la confusione che regna a sinistra. Tuttavia, quello che il Pd può e deve fare domani è invece sciogliere in maniera chiara e definitiva l’ambiguità di fondo che l’accompagna fin dall’avvio della stagione inaugurata dalla caduta di Conte: scegliere tra i sostenitori del Governo attuale e i nostalgici dell’Esecutivo precedente. La ridicola polemica sviluppatasi sul caso McKinsey, società di consulenza che collabora da anni con i governi italiani, compreso quello giallorosso, è infatti solo una delle molte avvisaglie (il tentativo di formare un intergruppo Pd-M5S è un’altra di queste) di quello che potrebbe accadere prossimamente: una guerriglia sotterranea che, pur di tenere unita la vecchia maggioranza giallorossa, rischia di destabilizzare l’Esecutivo attuale. I segnali provenienti da sinistra in questa direzione sono molteplici: Draghi «deve chiarire», il ministro Daniele Franco «deve spiegare», hanno caricato a testa bassa vari esponenti dem e grillini che sotto sotto sognano “il medico di prima” e potrebbero fare la lotta occulta al premier. A questi si è poi aggiunta la bordata dell’associazione Libertà e Giustizia, che ha lanciato un appello dal titolo che è tutto un programma: «Con il governo Draghi democrazia a rischio». Se non è una chiamata alla montagna poco ci manca. Anche perché arriva da personalità molto ascoltate in vari mondi che fanno riferimento al Nazareno. Potrebbe sembrare una questione secondaria, ma siccome sono in ballo il piano per le vaccinazioni e il Recovery Plan, forse varrebbe la pena di scioglierlo subito questo nodo. D’altra parte, se lo stesso Draghi nel suo primo, scarno discorso agli italiani dopo quello in Parlamento ha sentito il bisogno di ribadire che «questo non è il momento di dividerci o di riaffermare le nostre identità», qualcosa vorrà pur dire. È evidente che anche lui ha avvertito gli scricchiolii che si sentono in quella parte del Pd che non ha ancora digerito il licenziamento dell’avvocato del popolo. Certo, il messaggio era indirizzato anche a Salvini, un modo per dirgli di non esagerare con il controcanto di partito. Ma allo stato al leader leghista conviene stare se non zitto almeno buono molto più di quanto non convenga al Pd: il governo Draghi, infatti, per ora sta facendo molto male alla sinistra e molto bene al centrodestra. Con un Nazareno in balia dei bivacchi delle Sardine e che prende schiaffi dal primo Casalino che passa, la tentazione di arroccarsi rischia di essere forte. Ecco, quello che il Pd deve chiarire subito è cosa vuol fare: ascoltare i partigiani in lotta contro il nuovo regime draghiano, o sostenere lealmente lo sforzo per mettere in piedi una campagna di vaccinazioni decente e un credibile piano di rilancio dell’economia? Altro che Letta.