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Il difficile compito del presidente Biden

Opinionista: 

Ritorno a riflettere sulla situazione politica e sociale degli Stati Uniti dopo la vittoria del democratico Biden e il rifiuto di riconoscere la sconfitta del repubblicano Trump. Siamo dinanzi ad una situazione che, almeno per il momento, appare pericolosa e foriera di drammatiche conseguenze. E questo perché il presidente ancora in carica fino al 20 gennaio del 2021 sta lentamente spostando il fronte della sua resistenza dal terreno della richiesta di riconteggi (l’ultimo sul quale fidava molto, quello della Georgia, si è definitivamente concluso con la vittoria di Biden, peraltro sancita dal segretario di Stato repubblicano seguace di Trump) a quello dell’appello al popolo americano, fatto ora di voluta disinformazione e di minacce che colgono non solo il presidente eletto, ma anche giudici, governatori, segretari di Stato. Una delle ultime esternazioni rasenta il ridicolo – ma purtroppo riesce a far presa su tutta quella fascia di elettori specialmente latinos emigrati da Cuba e Venezuela – quando Trump accusa Biden di cospirazione comunista. Tutto questo naturalmente mette nell’ombra i numerosi aspetti negativi dell’amministrazione trumpiana, primo fra tutti il colpevole ritardo col quale è stato affrontato l’espandersi della pandemia di Covid che ha procurato ben 250.000 morti. Quel che è certo è che Biden avrà dinanzi a sé un compito arduo e difficile, considerato che Trump ha ottenuto oltre 70 milioni di voti di americani – smentendo per l’ennesima volta i sondaggi della grande stampa – sedotti e convinti dalla propaganda e dalle promesse e innanzitutto dalle menzogne sulla presunta minaccia di una deriva filo-comunista con l’appoggio nientedimeno di Cuba e Venezuela. Quel che preoccupa maggiormente è il riprodursi di una ferita mai sanata definitivamente che si ripresenta periodicamente nella storia degli Stati Uniti: il riproporsi di ciò che il grande studioso della storia e del sistema politico nordamericano, Tocqueville, aveva teorizzato già negli anni ’30 del secolo XIX: il profilarsi sempre più netto di due sistemi di vita che non riguardano solo l’America, ma stanno alla base anche delle democrazie europee. L’ottocentesca lotta di classe tra operai e padroni delle fabbriche, tra contadini poveri e proprietari terrieri si è lentamente trasformata, ma non per questo si è estinto il carattere dualistico della vita economica e politica: da un lato l’attaccamento ai valori democratici che si richiamano alla meritocrazia (non sempre però rispettata, ma questo è un altro discorso), dall’altro coloro che si ritengono meno privilegiati e spesso messi ai margini della società opulenta e che non si riconoscono più nei partiti di una sinistra evaporata e che portano acqua al mulino dei populismi: Trump in testa, seguito a ruota da leader come Salvini, Le Pen, Bolsonaro.