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Il diritto di informare mentre cambia il mondo

Opinionista: 

Dietro i dieci giorni che hanno cambiato il mondo, c’è, oggi, una crescente voglia di impaurire, di terrorizzare l’Occidente, rivelatosi, improvvisamente, incerto, spaventato, disorganizzato. Dopo ogni attentato, sul web e sul video, compaiono i filmati dell’orrore, le decapitazioni, la rabbia, la ferocia con la quale vengono trattati gli ostaggi. Una propaganda mediatica attenta, scrupolosa puntuale che riesce, puntualmente, nel suo scopo. Arrivare lì, dove le armi non arriveranno, minando la sicurezza dell’intero Occidente. La propaganda mediatica sembra, ormai, addirittura più importante degli stessi attentati. E sono in molti a dichiarare che i registi del terrore sono diventati strategicamente più influenti degli stessi miliziani. Come risponde l’Occidente a questo assedio propagandistico? In modo incerto e avventuroso. Sfilano, nei suoi telegiornali, uomini in assetto di guerra, cadaveri portati via in ambulanza, blindati che ostruiscono strade, quartieri, città. E la spirale del terrore cresce, dilaga, soprattutto nelle grandi aree metropolitane. Poca gente per strada, metropolitane deserte, ristoranti e locali desolatamente vuoti. Si incasellano, nel frattempo, nelle tv continentali, le immagini della pietà. Salme che tornano nei Paesi di provenienza, fiori e lumi sul selciato, i riti parlamentari che, dovunque, spolverano un po’ d’orgoglio e qualche frammento di patriottismo. E mentre i grandi leaders europei si interrogano ancora sull’ opportunità di dotarsi di un’unica comune “intelligence “, si apprende che i miliziani hanno a disposizione anche armi chimiche pronte a una distruzione di massa dagli effetti incalcolabili. In Italia, nel frattempo, la gestione mediatica di questo difficile momento appare affidata a chi capita. La D’Urso, su Canale 5, abbandona, per qualche giorno, l’ omicidio della Gambirasio per discettare sui pericoli jihadisti, Giletti, su Rai Uno, prova a scuotere qualche coscienza con un monologo senza acuti, mentre sulle tv e sulle radio private vengono intervistati un po’ tutti, dal bottegaio al professore universitario che propongono analisi banali, in qualche caso umoristiche. Rari gli interventi centrati, rarissimi coloro che parlano alla luce di una reale, acquisita esperienza. Una gigantesca bolla mediatica che rende gli utenti sempre meno lucidi e sempre più terrorizzati. Attenzione, qui non è in discussione la libertà di informazione, la possibilità di ascoltare ogni voce favorevole o contraria. È in discussione, invece, la capacità di maneggiare temi e strumenti delicatissimi che condizionano inevitabilmente le nostre paure quotidiane, la nostra società, il nostro futuro, la nostra economia. Realtà che non possono essere assolutamente affidate al banale arbitrio di chi sputa suggerimenti e sentenze solo perché ha un microfono. In chiave mediatica, paradossalmente, la guerra con l’Islam ci vede oggi in una posizione di chiara inferiorità. Ed è, purtroppo, una delle armi fondamentali di questo imprevedibile conflitto.