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Il ruolo dell’Italia nella guerra Usa-Iran

Opinionista: 

Il 2020 si apre con lo scenario peggiore: lo spettro della guerra si riaffaccia sul mondo e sull’Europa solo qualche ora dopo che il presidente Mattarella aveva parlato dell’Italia e del suo ruolo centrale nel Mediterraneo grazie non solo alla geografia, ma anche alla storia e alla cultura che ne fanno in quella regione la punta avanzata dell’Europa. Tutto però appare purtroppo smentito dalla ricorrente afasia che, dinanzi alle grandi crisi mondiali, colpisce l’Italia e, peggio ancora, l’Europa e le istituzioni comunitarie. L’uccisione a Baghdad del generale iraniano Soleimani e il raid successivo in cui sarebbe stato colpito un altro comandante militare sta spingendo l’area mediorientale sul precipizio di un nuovo conflitto bellico. Non sono sinora bastati i duri giudizi dei democratici americani verso la dissennata politica di Trump che sta rovesciando “dinamite su una polveriera”, né la condanna dell’Onu che parla esplicitamente di violazione del diritto internazionale. A ciò si aggiunge un altro elemento di forte preoccupazione manifestato dall’Unione Europea e che coinvolge direttamente il nostro paese: la decisione della Grande Assemblea nazionale turca che autorizza l'invio di contingenti militari in Libia. Sono in molti ad interrogarsi sui motivi che hanno spinto Trump ad ordinare il raid e sono altresì in molti a pensare – a partire dai dubbi sollevati dal “New York Times” e dalle critiche esplicite provenienti dal partito democratico che ha attaccato il presidente per non aver coinvolto il Congresso  - che si sia trattato di un avvertimento verso tutti coloro che, a partire dal suo predecessore Obama e dai paesi europei, avevano inaugurato una politica di cessazione dell’embargo in cambio di un congelamento del programma nucleare dell’Iran. Leggendo le cronache e i commenti delle ultime ore, si fa strada, sempre più credibile, l’impressione che la decisione dell’intervento militare abbia come vera motivazione egoistici calcoli politico-elettorali, primo fra tutti quello di distogliere l’opinione pubblica e la stessa dialettica politica dall’impeachment. Sarebbe infatti considerato un comportamento negativo e antipatriottico porre sotto accusa il comandante in capo di una nazione in guerra. Ma anche se questa sciagurata ipotesi di guerra non dovesse verificarsi, resterebbe alto il gradimento elettorale di quella ampia fascia  di elettori sempre più attratti dalla politica dell’uomo forte e solo al comando.  Il comunicato che il presidente del Consiglio Conte ha emesso dopo aver atteso invano un documento comune delle grandi potenze europee va al di là della formale protesta diplomatica e si trasforma in un pressante invito ad offrire un contributo determinante a mettere in campo un rapido intervento diplomatico dell’Unione Europea. Il nostro paese impegna oltre seimila soldati nelle missioni internazionali e non può commettere l’errore imperdonabile di mettere a repentaglio la loro vita. Si parla di basi americane di stanza in Italia dalle quali può essere partito il drone che ha ucciso Soleimani. Il Parlamento e l’opinione pubblica hanno il diritto di sapere e di riconsiderare, in caso affermativo, sia le missioni militari nelle zone di guerra sia la presenza americana nelle basi italiane.