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Il virus tra buonismo e solidarietà a comando

Opinionista: 

Ah, il buonismo. Che brutta cosa, fastidiosa e appiccicaticcia. Falso, falsissimo come la moneta da tre euro. Ma è la nostra specialità, come la solidarietà a comando e come il rispetto. Come gli applausi ai medici e agli infermieri che sono stati due mesi chiusi nelle terapie senza dormire per cercare di trattenere sulla Terra quelli che l'epidemia stava trascinando via. Sono gli stessi medici e infermieri che fino a febbraio scorso abbiamo aggredito e presi a capate nei pronto soccorso perché non ci piaceva il loro modo di lavorare o perché non ci consentivano di entrare in corsia fuori orario. E li abbiamo presi a calci dopo aver devastato l'ospedale e spaccato un po' di vetrate e rubato qualche computer. Sono diventati i nostri eroi, come i carabinieri e i poliziotti che hanno evitato la rivoluzione. Come Ascierto e gli altri del “Pascale”, "le nostre eccellenze del Sud" che non sapevamo neppure che esistessero e cosa facessero tutto il giorno in giro tra le corsie. Questi parassiti, e io pago, dicevamo. Ma, senza scomodare Brecht, quando inventiamo gli eroi significa che qualcosa non va. E quando facciamo i gargarismi con la parola solidarietà e ci mitragliano ogni giorno con gli Iban della solidarietà significa che non siamo la quinta o la settima potenza mondiale, e quando facciamo la colletta per comprare mascherine e respiratori per questa battaglia fai da te contro l'epidemia, significa che questo è il Paese in cui siamo tutti Formigoni perché i medici hanno lavorato con un foulard alla bocca che è eroico e romantico e suggestivo però inutile e buono solo per le fotografie o gli Speciali dei Tg. E poi il patriottismo, siamo tutti fratelli. E le bandiere ai balconi per sottolineare un senso di appartenenza che non abbiamo mai avuto, noi che ci scanniamo per una partita di calcio. E Fratelli d'Italia, l'inno (brutto) che nessuno conosce ma che è stato cantato "a orecchio" per esorcizzare il terrore invocando uno sconosciutissimo Scipio. E allora bene ha fatto Marcello quando in quei giorni rarefatti mi ha invitato a cantare al balcone Curnutone degli Squallor. E adesso siamo alla ripresa, ci hanno detto, e noi questo volevamo sentirci dire, e l'Eden silenzioso in cui abbiamo vissuto tre mesi è tornato velocemente ad essere la rassicurante fogna di sempre, dopo queste giornate cristallizzate con il calendario che sembrava segnare sempre la stessa data, con la scrivania piena di foglietti e di appunti, i pizzini dell'epidemia. E i primi indagati (ce ne saranno molti, credo) che hanno cercato di mettere le mani nella marmellata e quelli che hanno sentito la puzza dei soldi e hanno cercato di rifilarci le mascherine pezzottate. E in questo diario kafkiano ci sono anche le bandiere sventolate inutilmente e l'inno nazionale che non è mai piaciuto a nessuno. Beati quei popoli che riescono a fare a meno degli eroi e dei mille Formigoni.