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Inchini a de Magistris e tanti siluri a Lauro

Opinionista: 

Da quando, il 1° giugno del 2011, Luigi de Magistris fu eletto sindaco di Napoli, superando in un miracoloso ballottaggio Gianni Lettieri, grazie alla desistenza del Pd e al voto favorevole di casiniani e finiani già in rotta ostile e polemica con Berlusconi (questo va sempre ricordato per rimarcare il “regalo” che fecero allora alla città), il Comune di Napoli si è distinto per una conflittualità permanente. Non solo all’interno della giunta, al centro di continui rimpasti - impossibile tenerne il conto - per l’abbandono di assessori, costretti a farlo o pentiti di aver fatto quella scelta, ma anche, all’esterno, nei riguardi del Governo. Questa tendenza, accentuatasi verso la fine del primo mandato, maggio del 2016, con la proclamazione di Napoli “derenzizzata”, off-limits per Renzi, ha avuto cicliche impennate a secondo delle ricorrenti mire politiche del sindaco, più insistenti nel secondo mandato in vista di una “collocazione” dopo il decennio a Palazzo San Giacomo. Resta memorabile il braccio di ferro su Bagnolifutura e il suo commissariamento. Fino poi alla tregua armata con il mite presidente del Consiglio Gentiloni che, bisogna dire, ha salvato il Comune da un “default”, dato per certo dai conoscitori delle finanze locali, accollando al Governo il 77% del debiti pregressi. Un “inchino”, per usare il termine giusto, una nobile attenzione da parte dell’ultimo esecutivo del Pd, nonostante questo partito fosse stato bersaglio di ingenerosi apprezzamenti. Oggi si è appena insediato il bicolore M5S, e il sindaco, ci risiamo?, ha già ha provveduto a lanciare qualche strale in direzione di uno dei suoi due vice premier, segnatamente Salvini, con il quale sono ancora aperti i vecchi conti. Abbiamo voluto di proposito ricostruire questa storia amministrativa per dire che a de Magistris, malgrado risultati poco positivi, anzi insoddisfacenti, e atteggiamenti avulsi da ogni buona consuetudine istituzionale, da Roma gli sono stati riservati “inchini” e opportunità preziose per rimanere in sella. Tutt’altro, invece, toccò a Lauro, verso la metà degli anni Cinquanta, da sindaco di Napoli, eletto con esiti plebiscitari, cui i governi dc del tempo destinarono una serie di siluri: commissari prefettizi, scioglimento del Consiglio, stillicidio di fondi anche per il pagamento mensile dei dipendenti comunali. Senza contare che, su 35 miliardi concessi dalla Legge speciale, gliene liquidarono solo 6, in 5 anni, per creargli difficoltà. Eppure la sua amministrazione fece, e questo si può verificare, più di quanto dicono di aver fatto nell’arco di oltre trent’anni Bassolino, Iervolino e ora de Magistris, pur avendo avuto una barca di miliardi per Bagnoli, Centro storico e, di recente, 17 miliardi per le periferie rimaste tali malgrado proclami di riscatto. Oggi può apparire anacronistico il confronto con Lauro ma non lo è. Anzi, ricordarlo è un atto di giustizia verso chi lavorò per Napoli e fu ostacolato con ogni mezzo che solo la storia, quella vera, può compiere correttamente rivisitando il passato e al cospetto di un presente sconfortante.