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La “grande occasione” che Napoli non colse

Opinionista: 

Ogni qualvolta si parla del declino di Napoli, non più una novità ma una storia vecchia, il nostro pensiero va agli inizi di quel luglio del 1994, quando la città ospitò il Gisette, assemblea annuale dei Capi di Stato delle Nazioni più industrializzate, e visse tre giorni da capitale, un titolo che la grande storia le aveva assegnato e poi tolto. Oltre a questo, nella lunga e meticolosa fase preparatoria dell’evento, va però ricordato che ci fu un collaterale apporto, molto qualificato. Per una serie di interventi di prestigiosi e autorevoli studiosi, rivolti a suggerire alle istituzioni locali, i percorsi, le progettualità più opportune e convenienti per ridare a Napoli il ruolo che le spettava in Europa e nel Mediterraneo. A riguardo il Capo dello Stato di allora Ciampi tenne a sottolineare di aver scelto Napoli per aiutarla nel cammino di una radicale rinascita. Otto mesi prima del Gisette, nel dicembre del 1993, era stato eletto, con la neoriforma della elezione diretta, nuovo sindaco Antonio Bassolino. Quel voto poneva fine alla lunga e tormentata vicenda amministrativa post- tangentopoli. Mai a un’amministrazione comunale, come a quella appena nata, si offriva la opportunità di potersi giovare di un contributo di idee, così autorevole e calato nella realtà napoletana, da doverlo soltanto concretizzare. In quei giorni, emerse anche, in modo netto e chiaro la indispensabilità di dover puntare tutto sulla “centralità di Napoli”, fondata su un rilancio effettivo della “funzione residenziale”, cioè in una complessiva riqualificazione competitiva e vincente da moderna metropoli. Ciò significava ricostruire, recuperare, innovare, porre mano alle insostenibili condizioni abitative di vecchie e nuove periferie, all’assetto del centro storico, dotarsi di servizi fondamentali, dalle scuole agli ospedali, dai mercati ai giardini. Parallelamente affrontare la problematica dei trasporti, la riconversione di aree industriali dismesse negli anni Ottanta per la crisi delle Partecipazioni Statali, attraverso la cosiddetta “economia del ripristino”, altrove già in atto con rinascite produttive avanzate. E ancora dotarsi di grandi infrastrutture di pubblica utilità, parcheggi e definire le linee di sviluppo della rete della distribuzione, indispensabile in una città come Napoli, la cui maggiore fonte di reddito è da sempre il terziario: Turismo, Commercio, Ristorazione. Un quadro di opportunità non impossibile per disegnare finalmente la “identità strategica” napoletana e “esplicitare le vere vocazioni del territorio: ambiente, turismo, beni culturali, urbanistica”. Nel segno di una lungimirante visione di governo dell’economia nell’area metropolitana, in funzione di uno sviluppo policentrico verso le aree interne e in direzione del Sud. A dettarlo erano le cifre: all’inizio degli anni Novanta, gli occupati del terziario erano il 54% del totale delle unità lavoro, esclusa la pubblica amministrazione, e del 55% nel commercio, alberghi e pubblici esercizi. Ma la straordinaria favorevole occasione del Gisette non fu colta dal sindaco Bassolino, cui Ciampi aveva da subito provveduto a spianare il percorso con l’azzeramento di un gravoso deficit comunale. Ritrovarlo oggi candidato nuovamente a sindaco di Napoli, ad ascoltare in piazza le esigenze dei cittadini, le stesse di quelle elencate nel dibattito preparatorio del Gisette 30 anni fa, e da lui non risolte, dopo essere stato per due volte al vertice di Palazzo San Giacomo, più che destare sconcerto è una ulteriore riprova che la brama del potere fa perdere la testa. Bassolino è anche corresponsabile del disastroso decennio della Iervolino, di cui caldeggiò l’investitura a sindaco. Memorabile un manifesto elettorale, in cui lui appariva tenendola per mano nel volere trasmettere all’elettorato l’idea di un’imbattibile continuità. Si è vista con quali risultati.