Accessibilità:
-A A +A
Print Friendly, PDF & Email

La città metropolitana, un’entità immaginaria

Opinionista: 

Che Napoli non fosse l’ombelico del Regno l’aveva capito intorno alla metà del ‘400 Alfonso d’Aragona che aveva la sua Corte nella capitale ma, nel contempo, aveva una regale residenza a Torre del Greco (“Torre Ottava” la chiama Croce nel suo “Storie e leggende napoletane”), dove sbrigava gli affari di Stato, riceveva imperatori, re, principi e ambasciatori. E aveva intenzione di aprire un’altra piccola corte nei pressi di Caserta. Lo scopo era quello di avvicinare il potere alle popolazioni e di diffondere tra queste il senso di appartenenza a una stessa comunità. Si può dire, perciò, che Alfonso aveva una visione “metropolitana” ante litteram. Sulla scia del re aragonese si mosse Carlo di Borbone che nel ‘700 volle realizzare a Caserta la grandiosa reggia, dopo quelle di Portici e di Napoli, diventata patrimonio Unesco dell’umanità. E si mosse, alcuni secoli dopo, Francesco Saverio Nitti quando nel 1903 sosteneva che i problemi di Napoli dovessero essere “inquadrati e risolti assieme a quelli dei comuni della provincia”, costituenti già allora un’unica città da amministrare unitariamente. Una visione sovracomunale che affascinò Giuseppe Moscati, l’insigne chirurgo napoletano, che, nel 1919, scrisse la famosa lettera “E qui fu Napoli” ai consiglieri comunali alle prese con il piano regolatore per suggerire di prevederne lo sviluppo della città al di fuori dalla sua cinta daziaria, verso l’area della provincia che poi si sarebbe chiamata “area metropolitana”, allo scopo di tramandare intatte le bellezze naturali cittadine alle generazioni future. L’avessero ascoltato…. Però fu fatto Santo. Ma non per meriti urbanistici. La visione di Nitti e di Moscati venne ripresa, negli anni ’60, da Rossi Doria, Novacco, Piccinato, Compagna, Pane, Cosenza, che invocarono la istituzione della città metropolitana di Napoli. In contrapposizione con i politici locali che non volevano rinunciare alle autonomie comunali. E che fecero fallire la legge n.142 dell’8 giugno 1990 che aveva stabilito la istituzione di alcune città metropolitane, tra le quali quella di Napoli. Boicottarono la legge indifferenti al fatto che la città metropolitana esiste nei fatti. Ed è la mostruosa conurbazione che va da Baia a Sorrento e da Melito a Frattamaggiore. Una città di oltre tre milioni di abitanti alle prese con gli stessi problemi esistenziali denunciati cent’anni fa da Nitti. Aggravati dalla secolare assenza di un’amministrazione unitaria dei comuni della provincia. Tant’è vero che si ritrovano ogni anno in fondo alle classifiche delle città vivibili. La meschina difesa dei campanili e la pochezza della classe dirigente fecero fallire anche l’idea della Grande Napoli, da costituire attraverso una legge per aggregare tutti i comuni della provincia, simile ai Regi Decreti del 1925 e del 1926 che hanno aggregato alla città di Napoli i comuni di Barra, Chiaiano, Pianura, Ponticelli, San Giovanni a Teduccio, S.Pietro a Patierno, Secondigliano e di Soccavo. Ci ha pensato il governo Renzi con la legge n. 56 del 7 aprile 2014 a istituire le città metropolitane, previste dall’articolo 114 della Costituzione, modificato nell’ottobre 2001. Una legge sbagliata e cervellotica perché istituisce, senza alcuna convincente spiegazione, solamente nove città metropolitane, tra le quali quella di Napoli. E con modalità non democratiche visto che il sindaco e i consiglieri sono eletti dagli attuali sindaci e consiglieri comunali. Una sesquipedale idiozia. Il 9 ottobre 2016 sono stati eletti a Napoli il sindaco e il consiglio metropolitani. Ma non è cambiato nulla. Tutto come prima. Da tre anni i 728 tra sindaci, vice sindaci e assessori (tra questi il sindaco metropolitano Luigi de Magistris), i 1.804 consiglieri comunali (tra questi i 24 consiglieri metropolitani), i 57 amministratori della Provincia e i 441 componenti le 21 Circoscrizioni napoletane continuano a coltivare il loro orticello. E la città metropolitana di Napoli continua a essere un’entità immaginaria priva di qualsiasi riscontro con la realtà.