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L’inquietante depistaggio di chi non vuole la verità

Opinionista: 

Che diavolo c’entra la libertà di stampa? Chi la tira in ballo vuol buttarla in caciara. Nella speranza che il richiamo ai supremi valori democratici in pericolo, pretestuoso e strumentale, soffochi sul nascere una discussione seria sul verminaio degli accessi abusivi al sistema delle banche dati che sta emergendo dall’inchiesta di Perugia. Intendiamoci: che da tempo esista un sistema di sputtanamento a comando di questo o quel personaggio pubblico sia esso politico, imprenditore, cantante, sportivo o altro basta sfogliare i giornali degli ultimi 30 anni per rendersi conto che si tratta della scoperta dell’acqua calda. Stavolta, però, di fronte all’emergere di «una convergenza degli accessi abusivi verso l’area politica che andava formando l’attuale maggioranza e il Governo», come evidenziato dallo stesso procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo, siamo davanti a qualcosa di più grave. Fa specie, quindi, che a sinistra si reagisca in maniera così scomposta. Ogni volta che viene messa in pericolo un certa filiera di potere scatta la difesa di qualche sacro principio. Ora è il turno della libertà di stampa. Che naturalmente non c’entra niente perché i giornalisti le notizie le devono dare, verificandole e tutelando le loro fonti. Se poi quelle fonti commettono dei reati, non lo si può certo imputare ai giornalisti. Sul premierato, invece, per impedire di discutere nel merito della riforma è stato evocato addirittura il rischio di un’inesistente deriva autoritaria. Lo stesso meccanismo scatta sulla giustizia: ogniqualvolta si prova a mettere in campo un cambiamento minimamente serio ed incisivo, a sinistra scatta subito l’accusa di voler sottomettere il potere giudiziario a quello esecutivo. Ovviamente senza che nessuno si sogni di volerlo fare. La tattica è sempre la stessa: spararla grossa, attribuendo all’avversario la volontà di smantellare i pilastri della nostra democrazia la libertà di stampa piuttosto che il Quirinale o la divisione dei poteri -, in modo da impostare tutta la discussione non sul merito delle cose che non funzionano, ma generando allarmi su questioni astratte che nulla hanno a che vedere con la realtà. Il risultato? Alzare un enorme polverone per fare in modo che alla fine non cambi nulla. È il copione di queste ore. Dinanzi al quadro inquietante che sta emergendo, individuare e punire mandanti e responsabili di metodologie che queste sì minano la democrazia, dovrebbe essere interesse di tutti. O davvero c’è chi è disposto a credere alla favoletta di qualche servitore dello Stato infedele che agisce per fantomatici «motivi personali»? Vale appena la pena di ricordare che la legittimità dell’accesso a una banca dati sta nel presupposto della delega avuta dal pubblico ufficiale. Punto. Tutto ciò che avviene al di fuori di questo perimetro è come minimo un abuso. Chi ha delegato cosa e perché? Questo è il punto, non la libertà di stampa. Non ci vuole molto a capire che siamo di fronte a fatti molto gravi: informazioni custodite da istituzioni dello Stato sono state usate per scopi poco chiari. O che forse lo sono fin troppo. È così che il potere pubblico diventa un’entità che mette paura ai cittadini. Se ci sono alcune banche dati che servono per eventuali indagini, ma poi vengono utilizzate a fini non istituzionali, e cioè a scopo di ricatto o per montare campagne scandalistiche, significa che dati riservati possono finire in mano a chiunque. Servirebbero allora controlli più stringenti sugli accessi alle banche dati, ma sollevando il polverone che si vede in queste ore, tutto diventa indistinguibile. Anzi, chi invoca regole passa per uno che vuole imbrigliare le indagini sui colletti bianchi o, peggio, intende gettare fango su chi lotta contro i mafiosi. Questa strategia della delegittimazione si configura come un vero e proprio depistaggio, funzionale a chi ha interesse a perpetrare questo sistema malato e a nasconderne i mandanti. Altro che commissione d’inchiesta sul Covid: è su questo che il Parlamento deve indagare. Subito.