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L’invito all’obbedienza a causa della pandemia

Opinionista: 

L’illustre giurista Natalino Irti ha scritto un libro che già dal titolo – Viaggio tra gli obbedienti – pone un problema che sembrava sinora scomparso o quanto meno defilato nell’opinione pubblica e nel dibattito giuridico-filosofico. Su di esso si è aperto un serrato e interessante dialogo a tre (Piergaetano Marchetti, Salvatore Natoli e lo stesso Irti) pubblicato sull’ultimo numero de “La Lettura”, l’inserto domenicale del “Corriere della Sera”. L’invito all’obbedienza, a causa della pandemia, è tornato a caratterizzare i modi e i tempi dell’azione politica e delle autorità sanitarie (compresa la serie infinita degli scienziati e dei medici che si alternano nelle varie trasmissioni televisive) alla luce delle continue e quotidiane disposizioni e decreti legge emanati dai governi Conte e Draghi e sollecitati dal ministro della salute Speranza. La prima considerazione da fare è che l’invito all’obbedienza rivolto dal governo ai cittadini, in questo caso, non ha mai avuto il carattere di una coercizione, a differenza dei tanti esempi che la storia ha accumulato nei secoli passati e nei decenni del secolo dei totalitarismi. Così come l’obbedienza sancita dal diritto canonico – la sottomissione del prelato ai propri superiori – riguarda le regole che ogni sacerdote liberamente decide di osservare. Ora, solo l’obbedienza non a regimi dittatoriali o a organizzazioni mafiose, ma a un governo e a un parlamento liberamente eletto contribuisce, sia pur tra non poche difficoltà, a creare e a mantenere l’idea che si obbedisce a una norma – sia pur talvolta confusa e contraddittoria – che giovi sia a chi la osserva sia a chi esprime il suo scetticismo e persino la sua contrarietà. È importante a tutti i costi far pervenire un chiaro messaggio all’opinione pubblica. Bisogna prendere consapevolmente atto degli sforzi da compiere per ottenere dall’opinione pubblica il più ampio consenso possibile, ricorrendo ad una massima di sapore kantiano: il valore del convincimento che l’obbedienza alle regole di salvaguardia deve avere un forte valore di reciprocità. Come ha detto Irti, vi è in tale difficile situazione la necessità di muoversi rispettando la scelta dell’inizio, “cioè l’assunzione di un principio regolativo”, di una norma fondamentale. E tutto ciò diventa praticabile quando si risponde a un “appello alla serietà della decisione, un richiamo alla consapevolezza e alla coltivazione del dubbio”. Ciò diventa possibile solo nella misura in cui il convincimento dell’altro viene accolto con serietà e disposizione al confronto e non considerato come un dato del tutto irrilevante. Si può allora affidare l’esperienza dell’obbedienza non solo a una reciprocità dialogica ma anche e soprattutto a un ponderato calcolo costi-benefici. “Il mio libro – afferma Irti – vuole essere anche un appello alla serietà della decisione, un richiamo alla consapevolezza e alla coltivazione del dubbio. Solo così il decidere diventa un atto di libertà. Comando, dubbio, decisione: tutti si ritrovano nell’intimità della coscienza individuale. Il mio diario di viaggio ha per ultima meta la serietà della vita e la libertà del singolo”.