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Napoli-“lockdownbis” e la primavera che verrà

Opinionista: 

In vista dell’imminente “lockdownbis”, che ci farà riandare indietro di mesi, rivivere esperienze fino ad allora mai vissute, vogliamo prendere a prestito un accorato auspicio, ricorrente nei panegirici dei vecchi predicatori quaresimalisti, attinto da una delle tante lettere di San Paolo. Dice: “Ecce nunc tempus tempus acceptabile, dies salutis”, cioè: “Ecco ora il tempo propizio, il giorno della salvezza”. Senza addentrarci in altri riferimenti e metafore, che ci potrebbero portare fuor del seminato a incroci e sovrapposizioni tra Avvento e Quaresima, Natale e Pasqua, riteniamo che non vi sia invito più semplice, propositivo e ottimista di questo, per affrontare nel modo migliore il presente, pensando a costruire il futuro. Che a Napoli si spera possa finalmente contare in primavera su un timoniere più affidabile dal rinnovo del consiglio comunale e la elezione del nuovo sindaco, indispensabile per una svolta di cambiamento, attesa da circa trent’anni ma vanificata da “fiumi di parole” e opere incompiute. Nel luglio scorso con la fine dalla quarantena si era avviato un dibattito sul modo più corretto e saggio per arrivare preparati a quest’appuntamento importante, cruciale. Allora si registrarono le prime, concrete “avances” da parte di aggregazioni, associazioni, cartelli di liste civiche, decisi a correre per la conquista di Palazzo San Giacomo. In tutto questo fervore, non sono però mancate, nei giorni scorsi, irruzioni anacronistiche da neutralizzare, non per la loro logorata anagrafe amministrativa ma per gli esiti improduttivi, che l’hanno caratterizzata, ancora sotto gli occhi di tutti. Il modo migliore per contrastare concretamente questi residuali velleitarismi, sostenuti da una casta irriducibile e trasversale, sta nel lancio di una sfida, che non potranno mai vincere. Bisogna porre nei programmi della rinascita la realizzazione di quei progetti, rimasti sulla carta per decenni, così si dimostra che una città, anche la più complessa, si può modernizzare se c’è la volontà, che non c’è stata in molti sindaci. Napoli da tempo ha trascurato la sua funzione residenziale, la più comune tra quelle urbane oggi la più degradata oltre i limiti del sopportabile, sotto ogni profilo della viabilità, mobilità, abitativo, dei servizi fondamentali, scuole, ospedali, mercati e giardini. Lo denunciava già nel maggio del 1976 Francesco Compagna, come condizione indispensabile per un vivere civile. Questo è uno dei primi atti di rigore per una città d’arte e di crescente attrazione turistica, se la si vuole sul serio accreditare come meritano la sua storia, le sue bellezze naturali e artistiche. A che vale ricorrere al passato per promuovere il presente, se poi la realtà, in cui il turista si muove con molto interesse, è l’opposto di quanto promesso e propagandato? Contemporaneamente occorre dare l’impulso decisivo alla Città Metropolitana, rimasta sulla carta, per di più con una pessima parodia di piano strategico, avulso da ogni contesto urbano e da altre realtà vicine. A riprova e specchio della “incomunicabilità”, questo il termine più onesto, del decennio demagistriano. Sempre qui, pare intanto riemergere positivamente l’antico tema, che animò il ragionante meridionalismo di Manlio Rossi Doria sul riequilibrio tra gli ingorghi di Napoli, delle aree costiere fortemente urbanizzate e le aree spopolate delle zone interne, nelle progettualità dei “Recovery fond” in chiave di netta competitiva globale. È un’altra prospettiva importante, che in tempi lontani, sotto la voce di “sviluppo policentrico” da favorire dall’area napoletana in direzione di province e regioni confinanti, fu lanciata dal candidato sindaco Antonio Martusciello a Bassolino, che invece puntò su un piano regolatore autoreferenziale, vicereale, napolicentrico non oltre Capodimonte. Speriamo che questo “lockdownbis ” prepari una buona primavera.