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Napoli, la “rivincita” dell’area metropolitana

Opinionista: 

L’idea del Sud si è a lungo sdoppiata in due prevalenti immagini, una, più narrativa, di un’ area diffusamente depressa, da miti, riti e antichi “lacciuoli”; l’altra più giornalistica, da reportage, imperniata sul degrado urbanistico e civile. Al centro di frequenti polemiche e inchieste, a volte caratterizzate, per dirla con una felice espressione di Francesco Compagna, dall’enfasi del colore. La prima, bisogna dire , cominciò a mostrare seri cambiamenti agl’inizi degli anni ’90, in seguito alla concreta evidenza di un sviluppo differenziato tra aree, costituito da promettenti insediamenti , da far parlare addirittura di uno sviluppo a “macchia di leopardo” e a rivedere vecchi giudizi e pregiudizi. La seconda, invece, registrò una più precisa connotazione di degrado urbanistico e civile nelle città meridionali. Tra coloro che, in quegli anni, posero maggiormente in risalto questo secondo aspetto- il declino delle vecchie capitali- vi fu Giuseppe De Rita, allora presidente del Cnl, il quale sintetizzò il suo giudizio in un articolo, apparso in una pubblicazione di autori vari, su “Napoli e il Mezzogiorno d’Italia- Storia, Cultura , Economia”, finalizzata a dare una oggettiva idea del contesto complessivo, in cui si sarebbe svolto il G7 a Napoli, nel 1994. De Rita, nel delineare queste regressioni, scrisse: “Hanno subito con gli anni un degrado pericolosissimo nel proprio assetto di convivenza civile, spesso anche nel proprio assetto urbanistico , ma hanno specialmente subito un degrado sul piano delle loro funzioni di impulso e di riferimento dello sviluppo economico e sociale delle aree contermini”. Per poi concludere: “Se ci riferiamo al Sud non è ad esse che gli operatori sociali e economici si rivolgono per acquisire competenze ma avanzare in ricerca, pubblicità,finanza, consulenza, formazione, logistica e commercializzazione ma altrove”. L’analisi, molto acuta, evidenziava la importanza di un coraggioso “policentrismo” che minava vecchie egemonie urbane, potremo dire, “capitali”. Ma a Bassolino, come sindaco di Napoli e invidiato “anfitrione” di quell’evento internazionale, preso da troppi impegni, sfuggì il valore di queste riflessioni, destinate a cambiare vecchi e logori convincimenti e fu un male. Il presidente del Cnl, già fondatore del Censis, invitava gli amministratori a doversi rapportare con questo nuovo protagonismo locale, con progettualità strategiche nella direzione vincente: metropolitana e interregionale. Il protagonismo municipalistico di Bassolino però farà tutt’altro: l’opposto. Racchiuse il futuro della città in un recinto vicereale , avulso da ogni dialogo all’esterno, con l’hinterland e le numerose direttrici verso Caserta e le aree interne. Il suo piano urbanistico isolò Napoli da ogni contesto nazionale e regionale. Un limite allora denunciato in ogni sede dal centrodestra, in particolare dal coordinatore del tempo Antonio Martusciello, che impostò la sua campagna elettorale contro la Iervolino su questo tema e sfiorò la vittoria al ballottaggio nel maggio 2001. Sfumata per la discesa in campo della Curia, una verità emersa dal limpido insospettabile saggio di Corrado Castiglione dal titolo: “Napoli Anno Zero - Cattolici e politica dal ‘68 alla spazzatura - Edizioni Intra Moenia 2009). Sentire oggi Bassolino esaltare la funzione metropolitana con toni didascalici: “La premessa è che oggi bisogna ragionare in termini di aree metropolitane, e quel che è fuori dai confini della città è il doppio di quello che c’è dentro e che non c’è a volte un metro di separazione tra una città e un’altra”, è comprensibile anzi obbligato, come aspirante sindaco di Napoli, istituzionalmente sindaco di diritto della Città metropolitana suscita però stupore. Quel suo Piano Regolatore da viceré, chiuso nel perimetro urbano, resta, nella sua lunga controversa storia amministrativa come un’altra conferma della sua scarsa lungimiranza. Del tutto assente in de Magistris.