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Napoli, un sindaco che guarda indietro

Opinionista: 

Non siamo noi ad affermarlo, è la storia amministrativa repubblicana a dirlo. I migliori sindaci del nostro Paese non sono stati quelli che hanno governato con i manuali della ideologia, ma coloro che, senza rinnegarla, hanno seguito un realismo riformista: la strada del pragmatismo e del buon senso, nel misurarsi con le emergenze, le problematiche vecchie e nuove. Ci riferiamo alle lontane positive esperienze - alcune diventate esemplari - del socialista Aniasi a Milano, di Dozza nella Bologna rossa, del dc Menna a Salerno, del comunista Petroselli a Roma, di Valenzi a Napoli, che si trovò contro una parte del suo stesso partito, il Pci, e infine, di quella più recente, De Luca a Salerno, da fargli poi meritare la Regione. Un dato obiettivo, un comportamento, che oggi sarebbe ancora più auspicabile, nel momento in cui da tempo stiamo facendo i conti con la caduta delle ideologie, in particolare con i falliti massimalismi del marxismo lenismo e le selvagge tracimazioni di un neo- liberismo, che invece di curare l’economia l’ha intossicata. Questo per dire che, mentre occorre, e ovunque ci si dà da fare, per uscire da vecchi e anacronistici schemi di sinistra e di destra, c’è ancora chi - e ci riferiamo al sindaco di Napoli - cammina a ritroso, guarda indietro, continua pervicacemente a ripescare logori miti, dandone, di volta in volta, infelici saggi dimostrativi insieme con le flottiglie dell’antagonismo. Come quelli di giovedì scorso in occasione del vertice su Bagnoli, su cui scontri con la polizia pesano tanto la sua mancata riprovazione o presa di distanza. Fosse stata soltanto la contestazione contro il commissariamento di Bagnoli, di quella problematica progettualità, seppur fuori luogo in presenza di un dispositivo del Tar a lui sfavorevole, si poteva, non dico giustificarla ma anche capirla come uno momentaneo disorientamento. Il problema oggi è che lui di questo “sovversivismo” ne abbia fatto una etichetta, un marchio di lotta. Che non premia nessuno. Siamo ancora convinti che cavalcare l’onda della contestazione, sia il modo più giusto per venir fuori da anni di degrado e di abbandono o non è invece piuttosto giunto il tempo di fare l’opposto: ricercare il dialogo “interistituzionale” fatto di paziente gradualismo, di analisi corrette e di sintesi consequenziarie? Con tutti i limiti, le inadempienze di questo mondo, noi crediamo ancora che una città, che si dà da fare da sola, che costruisce dal basso, con la partecipazione civica e il conforto dei poteri pubblichi, sia la più produttiva. De Magistris invece di fare il capopopolo, provi allora a riflettere: se oggi lo Stato, e quando diciamo lo Stato, ci riferiamo al Governo, sottrae dei poteri strategici alla legislazione concorrente dei Comuni è perché in questi anni, essi hanno dato pessima prova nella spesa pubblica e nella proliferazione di inutili partecipate. Si faccia anche lui un bell’esame di coscienza e riconosca che, oltre alla lamentazione cronica, nel suo quinquennio non si è visto un bel nulla. Il resto di niente.