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Non impariamo mai: riecco la strategia della pensione

Opinionista: 

Roba da non credere. Siamo immersi nella peggiore crisi economica dal secondo dopoguerra; abbiamo perso 900mila occupati e rischiamo di perderne molti altri; 300mila imprese hanno chiuso; sono andati in fumo oltre 150 miliardi di Pil e noi cosa facciamo? Invece di pensare a creare nuovi posti di lavoro, incrementare la produzione e sostenere le aziende in vista della ripresa, discutiamo di come tirare i remi in barca al più presto con una nuova ondata di prepensionamenti. Magari a 62 anni, come chiede all’unisono il sindacato. Parole che per idiozia riecheggiano quelle su Quota 100. Un fallimento molto costoso, soprattutto per i contribuenti più giovani che quegli stessi sindacalisti e politici oggi - a parole - affermano di voler difendere, dopo aver messo per anni sul loro conto l’uscita anticipata di chi la pensione ce l’aveva assicurata comunque. Tra poco ci racconteranno la stessa favoletta che narrarono all’epoca Salvini e Di Maio per giustificare quella manovra: la staffetta generazionale. Vedrete, per ogni pensionato ci sarà un nuovo assunto e l’economia metterà il turbo. Come no. Peccato sia una balla colossale. Con Quota 100 doveva accadere e non è accaduto neanche dov’era più semplice che accadesse: nel pubblico impiego, dove decide lo Stato. Perfino lì è successo il contrario: la Pa si è svuotata a tal punto che oggi siamo costretti a rincorrere una nuova, frettolosa stagione di concorsi per non perdere il treno del Recovery. Proprio come allora, oggi ci risiamo. Stavolta l’allarme riguarda lo scalone (provocato proprio da Quota 100) che dal 2022 dovrebbe ripristinare le norme della legge Fornero, con tanto di aspiranti prepensionandi in lacrime. Orrore. Il refrain è di due tipi. Primo: la rivoluzione digitale è già qui e le aziende dovranno svecchiarsi. Certo, peccato che già oggi in Italia sia difficile per le imprese trovare persone da assumere con competenze adeguate. Secondo: nel post pandemia dilagheranno le ristrutturazioni aziendali. Tradotto: piuttosto che attendere l’ondata di licenziamenti, meglio prepensionare in massa. Tanto a pagare ci pensa Pantalone, massacrando così chi ancora si ostina a produrre reddito in una Nazione dove tutto sembra procedere al contrario. D’altra parte, si ribatte, col sistema contributivo ormai ognuno potrà ritirarsi dal lavoro più o meno quando vorrà. Una menzogna doppia. Innanzitutto perché col contributivo i giovani matureranno pensioni da fame, e poi perché anche se è contributivo, il nostro resta pur sempre un sistema a ripartizione. Che significa? Che chi lavora paga i pensionati e i contributi non sono “proprietà” del lavoratore. Oltre al danno, anche la beffa. Per non dire che di mezzo ci sono l’inverno demografico (con sempre meno nati chi li paga gli assegni ai nonni?) e il welfare più sgangherato d’Occidente. La verità è una sola: ci troviamo in una condizione in cui le scorciatoie sono finite e qualcuno dovrebbe trovare il coraggio di dirlo una volta per tutte. Abbiamo scialacquato troppo nei decenni alle nostre spalle, e ora di benzina per far fronte a questa terribile crisi ne è rimasta poca. A consumarla ha contribuito anche il regime lassista dei prepensionamenti a ondate: la previdenza è stata scambiata per un gigantesco ammortizzatore sociale a carico della fiscalità generale, cioè degli idioti che insistono ad avere un lavoro e pagarci le tasse. E che di questo passo la pensione la vedranno da morti. Dobbiamo fare in pochi mesi molte delle cose che non abbiamo fatto in 30 anni. I fondi europei da soli non garantiranno la ripresa. Per questo dobbiamo rimboccarci le maniche: aumentare i posti di lavoro, la produttività, semplificare, riformare e rendere efficienti Pubblica amministrazione e giustizia, attirare quanti più investimenti nazionali e stranieri possibili… In una parola: lavorare e produrre, produrre e lavorare. Altro che pensioni a 62 anni.