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In politica la coerenza non è più un valore

Opinionista: 

Il prossimo 2 giugno il centrodestra celebrerà a suo modo la festa della Repubblica: Lega e Fratelli d'Italia (Forza Italia ha espresso ampie riserve sull'iniziativa) manifesteranno insieme contro il governo di Giuseppe Conte e la sua politica. E lo faranno inalberando non i simboli di parte, ma il tricolore. All’apparenza si tratta di un proposito encomiabile. Ma siamo perplessi. Il fatto è che il rapporto tra la Lega e il tricolore, storicamente, non è mai stato dei migliori. Non ci riferiamo soltanto al rozzo lessico di Umberto Bossi che pubblicamente affermava di voler utilizzare la bandiera nazionale nello stesso modo della carta igienica. Pur ammorbidendo i toni del suo predecessore, lo stesso Salvini non ha avuto per il tricolore espressioni particolarmente benevole. È ancora vivo il ricordo di una sua intervista radiofonica nella quale affermava: “Il tricolore non mi rappresenta. Non lo sento come la mia bandiera. A casa mia ho solo, la bandiera della Lombardia e di Milano. Il tricolore è solo la bandiera della nazionale di calcio per la quale non tifo”. Con questi precedenti Salvini appare certamente il meno indicato a partecipare ad una manifestazione che si svolga all’insegna del tricolore. Egli stesso, del resto, sembra essersene in qualche misura reso conto tant’è che negli ultimi giorni ha tentato di minimizzare il valore e il significato della manifestazione. Si dirà che le posizioni delle forze politiche sono inevitabilmente ondivaghe e che, avendo trasformato la Lega da forza localistica a forza nazionale, Salvini non poteva non rivedere le vecchie impostazioni di provenienza soprattutto bossiana. Ma quali sono i reali sentimenti del leader del Carroccio? Francamente dubitiamo che, di punto in bianco, viste le sue precedenti affermazioni, sia diventato (e con lui il suo partito) un fervente assertore della sovranità italiana. Il problema non si riduce, peraltro, al solo “caso Salvini” e induce a qualche considerazione al di là del contingente dimostrando che molto spesso i partiti si presentano a coloro che dovranno, poi, votarli, secondo le convenienze e non secondo le loro reali credenze. Per dirla brutalmente: ingannando gli elettori. È questa una delle conseguenze - forse la principale - di quella che viene definita “la morte delle ideologie”. Le ideologie ponevano, infatti, alle forze politiche dei limiti entro i quali svolgere la loro azione. Questi limiti sono ora chiaramente venuti meno e i partiti si muovono secondo le non-regole di un pragmatismo che fa rima con opportunismo senza offrire punti di riferimento il che spiega, tra l’altro, quel fenomeno della mobilità del corpo elettorale che un tempo si identificava per lungo tempo nella linea di questo o quel partito e ora tende a modificare di elezione in elezione le proprie scelte. Tutto questo si spiega anche con il fatto che viviamo in quella che il grande sociologo Zygmunt Bauman ha definito “la società liquida”, vale a dire la società nella quale il cambiamento è l’unica cosa permanente e l’incertezza la sola certezza. Due osservazioni, tuttavia, si impongono: la prima è che - come ebbe ad affermare Umberto Eco - questo sfrenato soggettivismo ha minato le basi della modernità rendendola quanto mai fragile; la seconda è che scompare in tale modo quella coerenza che è stato, in particolare in politica, un valore fondamentale.